himizu_41
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“Conosco tutto. Ma non so chi sono io”.

Con insistenza ossessiva, ruota attorno a queste parole (e al concetto che sta dietro di esse), il nuovo film di Sion Sono, presentato in Concorso alla 68esima Mostra Internazionale dell’Arte Cinematografica di Venezia. Liberamente tratto dall’omonimo manga di Minoru Furuya, Himizu, mette in scena il senso di smarrimento del giovane Yuichi Sumida, il cui scopo nella vita è di condurre una vita comune, difronte alla devastazione causata dai terremoti che hanno sconvolto il Giappone quest’anno. Il regista ha sentito il bisogno di raccontare il sentimento di disperazione del proprio paese, e l’incontro tra la realtà attuale e la verità del romanzo è stata inevitabile.

Lo spirito insofferente, sconfitto del protagonista e la disperazione del Giappone all’indomani della tragedia si sovrappongono perfettamente. Le macerie che fanno da scenario alla storia sono i veri resti delle città annientate dal disastro naturale. La perdita d’identità di Sumida e la sua incapacità di reagire è totale. Pur scegliendo un’esistenza apatica, priva di aspirazioni, è continuamente costretto a fare i conti con il mondo che lo circonda: un padre violento, una madre che lo abbandona all’improvviso, e uno Yakuza che pretende da lui il pagamento di un debito del padre. Dall’altra parte, un gruppo di vicini, senza più casa, che abitano in una piccola tendopoli improvvisata, e una compagna di scuola, Keiko Chazawa, innamorata di Sumida, si prendono cura di lui. In una spirale disperata di eventi violenti e grotteschi, Sumida vive la disperazione di un mondo che ha perso tutto, anche la propria identità. “Io conosco tutto. Ma non so chi sono” le parole di una poesia di Francois Villon (La ballata delle cose da niente), continuamente ripetute da Keiko, sottolineano in maniera quasi esasperante la condizione dei personaggi. In un mondo in cui tutto è stato perduto non c’è alcun futuro per le giovani generazioni.

Ma la prospettiva nichilista che schiaccia Sumida durante tutto il film, viene contrastata dalla con forza da Keiko che sogna soltanto di essere amata. In due ore di straziante pessimismo una speranza si intravede all’orizzonte. Raramente un film ha colto istantaneamente, così in pieno, il senso di una tragedia vissuta.

 

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