The Bad Batch, il cannibal western con Jason Momoa

Siamo nell’angolo più buio del deserto e abbiamo paura dei nostri simili”. Folle, statico, anti-commerciale, The Bad Batch è un’opera difficile da incastrare in un genere preciso. Presentato in concorso alla 73° edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, il secondo lungometraggio scritto e diretto da Ana Lily Amirpour racconta la storia di una giovane ragazza (Suki Waterhouse) che, martoriata da una comunità di cannibali, compie la sua vendetta. Le scoperte che farà e i bizzarri anti-eroi che incontrerà sul suo cammino la porteranno a decidere il destino di una bambina allevata dal selvaggio Joe (Jason Momoa).

Jason Momoa e Suki Waterhouse in The Bad Batch
Jason Momoa e Suki Waterhouse in The Bad Batch

Un amore al sangue

The Bad Batch ha un grande pregio! È un’opera diversa da tutto quello che abbiamo visto finora sul grande schermo. Il merito è di Ana Lily Amirpour che trasforma l’ennesimo amore impossibile in un western connaturato da un’anima romantico-horror: “Ho lavorato due anni a questo film, è un’opera molto personale! – ha affermato la Amirpour durante la conferenza stampa – Non faccio politica! Esistono grandi comunità che vivono fuori dal contesto urbano”. Dopo l’elettrizzante prologo, The Bad Batch si affida alla spettacolare colonna sonora che sorregge l’intera struttura del film: “Quando un brano mi colpisce lo utilizzo nei miei film! Parto sempre dai personaggi e dalla musica per scrivere la sceneggiatura. La musica viene prima di tutto”. Nonostante il fascino stilistico della Amirpour, The Bad Batch perde ritmo ed efficacia nella seconda parte, connaturata da una resa troppo statica per catturare l’attenzione dello spettatore. Il risultato è un’opera moderna che stupisce, disturba, (a tratti) annoia ma che inevitabilmente rimane impressa. Dopotutto, di amori cannibali arricchiti da un’anima western/horror/drama, non ne se ne sono mai visti su pellicola.

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Un cast di star

Nonostante il fascino granitico, Jason Momoa interpreta Jason Momoa, un anti-eroe che da super star diventa spalla della brava e affascinante Suki Waterhouse: “Nel film sono una ribelle, una rivoluzionaria, una outsider– ha raccontato la giovane attrice inglese – venire emarginati ti costringe a scoprire chi sei veramente“. Dura come la Linda Hamilton di Terminator, Suki Waterhouse incarna una ribelle che non si fa troppi problemi a prendersi ciò che gli spetta. La vera sorpresa è il cast secondario composto da Keanu Reeves e Jim Carrey, scelte incredibili considerata la natura anti-convenzionale del film. Se l’interprete di Matrix annoia con una performance monocorde, indebolita da una sceneggiatura non sempre a fuoco, il divo di The Mask regala uno dei suoi meravigliosi personaggi sopra le righe. L’eccellenza dei protagonisti compensa la staticità di lungometraggio splendido visivamente ma riuscito in parte. L’assenza di una linea guida fa perdere il senso di un’opera che, con uno script migliore, sarebbe potuta essere il nuovo cult del cinema post-apocalittico.