In concorso all’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica è sbarcato Stranger Eyes, un emozionante viaggio all’interno delle complicanze familiari, fatto di sensibili vibrazioni umane.
Diretto e sceneggiato da Siew Hua Yeo questa opera elabora in 125 minuti, diversi concetti sociali e umani in maniera pacata ma decisa. Orientale nei modi, meno nel soggetto, il film indaga profondamente le sfumature che increspano le relazioni. Un film sui rapporti, sulla maturazione, sull’essere genitori, sulla famiglia.
Occhi ovunque e rivelazioni all’orizzonte
Dopo la misteriosa scomparsa della propria bambina, una giovane coppia inizia a ricevere dvd contenenti strani video e si rende conto che qualcuno li osserva da tempo, filmando la loro vita quotidiana. La polizia mette così la casa sotto sorveglianza per tentare di sorprendere il voyeur, ma la famiglia inizia pian piano a sgretolarsi quando segreti inconfessati finiscono sotto lo sguardo attento degli occhi sbagliati.
Stranger Eyes è un viaggio attraverso le relazioni, attraverso quei silenzi nascosti che colmano i vuoti difficili da riempire a parole. Fin da subito ciò che appare sullo schermo è una coppia distrutta, apparentemente molto affiatata e unita nel dolore. Presto però, capiremo che l’apatia è il vero nemico, l’assenza di giudizio, l’inefficace consapevolezza.
Sembra Hitchcock, ma è solo una parvenza
Un dramma dalle tinte thriller va via via formandosi, solleticando qua e là una memoria cinefila su echi hitchcockiani. La finestra sul cortile è di certo il titolo maggiormente chiamato in causa, ma ciò che spinge la mente al parallelismo è più un riflesso citazionista che un vero e proprio input sostanziale.
Stranger Eyes infatti, non vive per essere un thriller tensivo in cui ti aggrappi nella speranza di essere coinvolto energicamente. Pur intavolando idee potenzialmente intriganti, quello che gli viene meglio è l’ambito di esplorazione emotiva nel rapporto genitori-figli.
Non tutti i figli possono essere genitori
“Sembra che la gentilezza abbia una data di scadenza”
recita un personaggio durante il film, un’espressione ormai più che tangibile oggigiorno. Il percorso umano è abitualmente un climax d’inasprimento, in cui tutto pare un chiaro segnale di una società persa. Il reticolato che si costruisce intorno a noi, giorno dopo giorno, forma quasi automaticamente un composto fatto di panico, caos e mancanza di privacy.
Stranger Eyes, oltre ad aprire discorsi (come questo) che non conclude pienamente, si sofferma in maniera più accurata su riflessioni genitoriali. Più di una volta durante la visione viene detto che per qualcuno sarebbe meglio non avere figli, alludendo ovviamente a coppie che non si comportano esattamente come dei genitori dovrebbero fare. Il film, brillantemente, punta su questo elemento sviluppandone un quadro arguto e ben stratificato. Genitori che si sentono più figli, altri che non hanno il coraggio di esporsi e operano nell’ombra, figli che spariscono o vengono abbandonati. Intrecci di sangue che troppo spesso si slegano per incomunicabilità o negligenza.
Percepire noi stessi in un mondo frenetico
Stranger Eyes
fa un lavoro ulteriore poi, quello sulla percezione di noi stessi. Il film infatti, innesca riflessioni che partono dal progetto stesso per espandersi poi verso una realtà più nostra, più attuale. I social media ad esempio sono un perfetto parallelismo della questione identitaria, un riflesso persistente che plasma le personalità in maniera distorta e forzata.
Inseguire, osservare e venire osservati, spiare con pazienza per scrutare i dettagli di vite parallele. Il film preme, almeno per un certo minutaggio, sulla sorveglianza pervasiva, sulle responsabilità sociali che si contrappongono alle libertà individuali. “C’è sempre qualcuno che guarda” viene detto a un certo punto. Un’asserzione apparentemente qualunquista ma in realtà più fondata e intimidatoria di quanto si possa pensare.
Siew Hua Yeo col suo film, riesce dunque a stabilire regole chiare, regalando un delicato discorso istruttivo, che evita di fare la morale preferendo un racconto espositivo in cui i personaggi sono riflessi di loro stessi.