Sarà una mostra in grado di far emozionare, ma soprattutto di far pensare. Osservare e vedere. Due concetti che corrono parallelamente, ma che, solo apparentemente, hanno uno stesso significato. Osservare d’altra parte significa guardare al di là della vista, vedere non soltanto con gli occhi ma anche con la mente e con l’animo. Evgen Bavčar, fotografo sloveno, perse la vista all’età di 12 anni, dopo due incidenti, eppure, dall’inizio degli anni Novanta, è tra i fotografi più richiesti. A chi gli chiede come possa fotografare, Bavčar risponde: “ Mi dovete chiedere non come, ma perché fotografo. Scatto in rapporto ai rumori, ai profumi e soprattutto in relazione alla mia esperienza della luce. Poi scelgo le foto facendomi consigliare da amici con lo sguardo libero da ossessioni personali, da Veronica, mia nipote di nove anni.” Evgen Bavčar non fotografa semplicemente gli oggetti, ma è capace di rendere l’immagine come uno specchio della propria visione: è il suo mondo interiore ad accedere direttamente sulla pellicola delle sue fotografie, un mondo fatto di ricordi e di sensazioni che prendono corpo attraverso la macchina fotografica.
Le visioni poetiche di Bavčar sbarcano a Roma, al Museo di Roma in Trastevere, dal 19 gennaio al 25 marzo, per la mostra Evgen Bavčar. Il buio è uno spazio, curata da Enrica Viganò. Oltre alle sue stampe in bianco e nero, l’esposizione capitolina offrirà, per la prima volta in Italia, l’opportunità di vedere alcuni scatti a colori del fotografo sloveno. “Meglio sentire la vita che avere soltanto un’idea della vita. Quanti veramente vedono?”. La macchina fotografica è l’occhio che guida il fotografo nell’osservare le cose, le persone, i paesaggi. Nell’osservare ciò che c’è intorno, ma soprattutto, ciò che c’è dentro.