Flight, la recensione del nuovo film con Denzel Washington

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Whip Whitaker

(Denzel Washington), pilota di linea con evidenti problemi di dipendenza da alcool, riesce a salvare i passeggeri del suo volo durante un’avaria, con una manovra estremamente complicata e ardita. Accolto come un eroe dai media, il comandante Whitaker, uscito dall’ospedale scopre che dovrà rispondere a un’inchiesta sulla morte di sei persone delle duecento a bordo. Il suo atterraggio di fortuna ha qualcosa di miracoloso e pochi piloti avrebbero potuto avere la prontezza e la capacità di farlo, ma c’è un problema. Durante il volo il comandante era “strafatto”.

Tornato, dopo anni, al live action, Robert Zemeckis porta sullo schermo una storia americana, morale ed emblematica, che mostra le idiosincrasie e le contraddizioni della società e della cultura statunitense. Ripetitivo e noioso a tratti nel raccontare il rapporto del protagonista con la dipendenza, il film va oltre la descrizione del disagio di un uomo difronte ai propri problemi e alle proprie paure. Il mondo che circonda Whip, i suoi amici, la sua donna Nicole (Kelly Reilly), anche lei tossicodipendente in recupero, le comunità di fedeli che gridano al miracolo, la commissione d’inchiesta, i suoi colleghi, e il suo migliore amico (John Goodman), è uno spaccato credibile e sfaccettato della società americana. Attraverso il racconto dell’uomo, Zemeckis ci racconta la morale americana, meglio, l’intengrità morale della legge americana, al di sopra di tutti gli uomini.

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