Il Ponte delle Spie, un potente affresco dalle lontane citazioni

Quarant’anni di sogno ed impegno civile, tra alti e bassi, non hanno mai scalfito la bellezza classica e senza tempo del cinema di Steven Spielberg. E’ giusto suddividere una filmografia così ampia in due grandi bacini, uno che fa riferimento alla visione infantile e familiare, dove regna l’immaginario fantastico, e l’altro votato ai valori morali-politici che hanno ispirato e mosso una nazione (l’America) e tutto il mondo del secolo in cui viviamo. Proprio in questa seconda parte si colloca l’ultimo lavoro del regista, Il ponte delle spie, una storia di conflitti apparentemente insanabili risolti grazie all’intervento della collaborazione, del dialogo (seppur silenzioso) tra gli uomini di potere. O semplicemente, uomini comuni messi in situazioni straordinarie. Il film è ambientato negli anni della Guerra Fredda tra le due superpotenze USA e URSS: un avvocato, tale James B.Donovan, viene scelto come tutore legale della spia russa Rudolf Abel, reso protagonista di uno scambio “diplomatico” con il prigioniero americano Francis Gary Powers, tenuto in ostaggio dalla giustizia sovietica. Sembrerebbe la trama di un normale e canonico thriller di spionaggio ad alto tasso adrenalitico, pronto a sfociare nell’ennesimo racconto senza vigore, e invece Spielberg arriva, armato di semplicità e intelligenza, sferra i suoi colpi da maestro e trasforma la sceneggiatura in un affresco potentissimo dalle lontane citazioni agli autori che ama tanto (Hitchcock, per dirne uno).

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Elegante nella messa in scena, splendidamente recitato, Il ponte delle spie giunge sui nostri schermi con un’efficacia che ammalia e un’aderenza alla realtà che stiamo vivendo oggi, dove paesi di diverse culture esportano imperialismo e terrorismo consumando la nuova guerra fredda, più violenta e sprezzante del passato. Al di là dei riferimenti, la pellicola riesce benissimo ad eludere alcuni passaggi a vuoto causati da un’eccessiva verbosità e da tante (troppe) didascalie narrative, esplodendo invece nella costruzione di messaggi importanti, come quello della ricostruzione di un’identità messa in discussione dopo la seconda guerra mondiale e ancora frammentata negli anni a seguire, con l’innalzamento del muro di Berlino. Tutto questo viene inglobato nella poetica di Spielberg che rimette in gioco l’umanità della sua arte, fatta di inquadrature meravigliose, movimenti fluidi, primi piani sulle espressioni degli attori; correndo ogni ruga, ogni sguardo che indica i valori costituenti della legge che unisce ogni individuo sulla faccia della terra: l’uguaglianza, garantita dalla legge e dal buon senso. Ecco mostrata la metafora del ponte, incontro tra due parti a metà strada sospese sull’acqua e quindi instabile, ma ponte significa anche luogo e set naturale, con le luci accese dirette agli eroi di questa storia. Gli stessi che torneranno, come sempre accade nei film del regista, al focolare della famiglia per trovare la pace smarrita nel lungo percorso.

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By Cecilia Strazza

Studentessa di lettere con aspirazioni giornalistiche. Scrivo per raccontare storie, critico per restituire l'esperienza della sala, che è il sale della mia vita. Mi piacciono i film sospesi di Sofia Coppola, i futuri alternativi di Spike Jonze, le geometrie di Nicolas Winding Refn, gli scanzonati anni '80 di John Hughes e amo gli spot dei profumi, e Keira Knightley. Tutte buone ragioni per farmi odiare dalla gente.

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