Dragon Blade, la recensione del film con Jackie Chan

Da sempre cinema asiatico e occidentale sono stati visti dal grande pubblico come due concezioni della settima arte antitetiche se non addirittura opposte e inconciliabili. Visioni diverse frutto di culture con davvero pochi punti in comune, basate su valori e tradizioni di società poste a due estremi non avvicinabili. Daniel Lee, cineasta di Honk Kong divenuto discretamente famoso in occidente grazie a pellicole come 14 Blades e Three Kingdoms, cerca con questo nuovo La battaglia degli imperi – Dragon Blade una sintesi (forse utopistica) fra cinema di azione orientale e blockbuster hollywoodiano, giocando non solo sulla unione di star provenienti da etnie diverse, bensì sul diverso modo di intendere lo stile cinematografico. Dopo il folle (e bellissimo) Thermae Romae, al centro della pellicola troviamo ancora una volta una rilettura apocrifa delle vicende della Roma imperiale. La narrazione prende il via quando la strada di Lucius (John Cusack), generale romano in fuga che cerca di salvare il piccolo Publius dalle grinfie di suo fratello maggiore (Adrien Brody), si incontra con quella de “La via della Seta” e del suo generale Huo An (Jackie Chan).

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La regia consapevole di Lee, coadiuvata da costumi e scenografie di eccellente fattura, conferisce a questo Dragon Blade quel carisma che invece manca alla sua sceneggiatura, virando su tonalità sempre accese e colorate e marcando la propria originalità rispetto alla cupezza dei seriosi blockbuster occidentali. Menzione di onore, inoltre, va sicuramente alle scene di azione e combattimento. Il cineasta asiatico si conferma con questo nuovo lungometraggio un regista capace e dotato, in grado di gestire anche i momenti più concitati. I consigli e gli accorgimenti di un maestro del “cinema fisico” come Jackie Chan, infine, hanno sicuramente giovato alla riuscita delle battaglie proposte su schermo. Nonostante ciò, alcune scelte di regia, come sequenze a rallenty inopportune e poco ispirate, spezzano in determinati momenti un ritmo altrimenti serrato e costante. Dragon Blade è un film che vive di immagini e inquadrature, di scontri e combattimenti, ma che perde improvvisamente interesse non appena i personaggi cominciano a parlare fra loro. La sceneggiatura non lascia spazio alla caratterizzazione, e i protagonisti sopra le righe (volutamente caricaturali e svuotati della propria mitica eroicità) diventano ben presto macchiette al servizio di un film nato e pensato per un pubblico antropologicamente diverso da quello che riempie le sale dei nostri cinema. Pur con questo evidente limite, alcuni personaggi riusciranno sicuramente a conquistare la simpatia degli spettatori occidentali, dal benevolo e sempre sorridente Jackie Chan al folle, dispotico e sanguinario imperatore interpretato da Adrien Brody.

Un progetto travagliato

La sensazione, scesi dalla giostra messa in piedi da Lee, è quella di una occasione mancata, di un film che gode di sequenze meravigliosamente costruite e coreografate, ma che cade irrimediabilmente a causa di una narrazione priva di mordente e di un montaggio disarmonico e senza ritmo. Nonostante le evidenti ingenuità, e le sbavature che testimoniano un progetto decisamente travagliato e di difficile realizzazione, Dragon Blade rimane però un film piacevole e divertente, immerso in una follia orientaleggiante sempre affascinante e travolgente (se pur non apprezzabile da tutti). Il nuovo lungometraggio di Daniel Lee si pone quindi come un popcorn movie diverso e alternativo ai “fratelli maggiori” americani, per rinfrescare in queste torride settimane estive le serate cinematografiche di chi cerca intrattenimento senza troppe pretese.

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By Davide Sette

Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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