Dogman, la parabola di umanità interrotta di Matteo Garrone

In una degradata località di periferia, ma anche sostanzialmente un non-luogo, il mite e umile Marcello fa il cosiddetto ‘canaro’ (Dogman, uomo dei cani per l’appunto), ovvero gestisce una toeletta per cani, e si barcamena alla meno peggio nei rapporti con un vicinato non propriamente esemplare, fatto di violenza, droga e rapporti di cinica convenienza. Simoncino, invece, tossicodipendente incline alla violenza, rappresenta una quotidiana minaccia per l’intero quartiere, capace di generare il terrore per una frase o un gesto di troppo. L’amicizia tra i due è qualcosa che va oltre il comune senso del legame, ma che trova le sue radici nella forte necessità di Marcello di sentirsi legato a qualcuno o qualcosa, di determinare un senso di appartenenza a un luogo che di fatto è all’opposto del suo sentire, del suo essere in fondo un uomo buono, del tutto restio allo scontro e ai conflitti. Eppure, la vicinanza a Simoncino e a quell’atmosfera di criminalità e violenza diffusa lo porteranno, suo malgrado, ad aderire a certi schemi, proiettandolo sempre più in una spirale di aderenza a quel mondo dal quale poi sarà difficile uscire.

Dogman: a Cannes 2018 il realismo intimo di Matteo Garrone

Al Festival di Cannes 2018 il secondo e ultimo film italiano in concorso è Dogman di Matteo Garrone. Grandissime attese ampiamente soddisfatte per questo regista italiano che ha saputo nel tempo affermarsi con un stile di realismo cinematografico autorevole e originale, vivido e coinvolgente. E anche qui, con Dogman, storia di un uomo mite e remissivo sostanzialmente vessato dalla vita, Garrone mette a segno un’opera dove il contenuto è tutto lì, più che lampante, delineato e concentrato nella corporatura minuta e nello sguardo umile e dimesso del protagonista Marcello (uno straordinario Marcello Fonte che letteralmente determina attraverso la sua persona gran parte dei 140 minuti di film). L’evoluzione del suo personaggio che da vittima inerme e abituata a subire infila poi una graduale rivoluzione interiore che lo porterà a scorgere una possibilità di cambiamento nello stato di cose, è lavorato in Dogman attraverso il minimalismo strutturale di forma e contenuti. Scabro  e scarno, il film del regista romano veicola sin dalla prima inquadratura la ‘rabbiosità’ di un mondo al quale puoi solo aderire, se non vuoi perire.Nessuna musica a far da sottofondo alle scene chiave,  nessuna ricerca di sensazionalismo narrativo, ma solo l’escalation cruda e drammatica di un antieroe proiettato nella sua scalata alla sopravvivenza, ovvero la necessità di uscire da quel buco nero di indifferenza, sopraffazione, umiliazione, e insensibilità in cui la vita sembra averlo intrappolato – chiuso in gabbia proprio come quei tanti cani di cui ogni giorno lui si prende cura. E infatti, abituato ad avere a che fare sempre e solamente con i cani (cotonati o rabbiosi che siano), Marcello sfrutterà l’unica conoscenza a sua disposizione per combattere il sistema di assoluto degrado e violenza che lo circonda. Un percorso interiore che Dogman cerca soprattutto nella profondità e fragilità emotive del protagonista, e che identifica portando a galla anche e soprattutto la dolcezza di Marcello nei confronti dei suoi due più grandi rapporti affettivi: il bellissimo rapporto con l’adorata figlia, e quello con i suoi amati cani. 

Dogman: Marcello Fonte protagonista bidimensionale

Con Dogman Matteo Garrone si allontana dalle realtà magiche e surreali di Reality o de Il racconto dei racconti per tornare, invece, al cinismo scarno e brutalmente ‘animalesco’ delle atmosfere di Gomorra o de L’imbalsamatore. In Dogman, però, ciò che spicca al centro della storia è la forza dirompente di un’umanità interrotta, un’umanità che si specchia nella cattiveria, nella violenza, nel male, e ne esce in qualche modo segnata e corrotta, e costretta per forza di cose ad aderire al sistema predefinito che la ingloba. Qui Matteo Garrone centra perfettamente il cuore del film cogliendo la bi-dimensionalità del suo protagonista; lo evolve gradualmente da vittima a potenziale carnefice innervandolo ‘lungo la via’ di sensibilità, paure, e anche di un grandissimo coraggio. Un’opera che riduce ai minimi termini la forma restituendo nel contempo altissimi livelli di pathos e disegnando una storia estrema di riscatto, crescita e sfida dei propri limiti. Una regia magistrale che fonde perfettamente il realismo narrativo al magnetismo naturale di un protagonista semplicemente perfetto. Infine, un film italiano di cui andare senz’altro orgogliosi e che all’interno del Concorso Cannes 2018 potrebbe essere senza problemi una dignitosissima Palma d’Oro Miglior Film.

Dogman TRAILER

By Elena Pedoto

In me la passione per il cinema non è stata fulminea, ma è cresciuta nel tempo, diventando però da un certo punto in poi una compagna di viaggio a dir poco irrinunciabile. Harry ti presento Sally e Quattro matrimoni e un funerale sono da sempre i miei due capisaldi in fatto di cinema (lato commedia), anche se poi – crescendo e “maturando” – mi sono avvicinata sempre di più e con più convinzione al cinema d’autore cosiddetto di “nicchia”, tanto che oggi scalpito letteralmente nell’attesa di vedere ai Festival (toglietemi tutto ma non il mio Cannes) un nuovo film francese, russo, rumeno, iraniano, turco… Lo so, non sono proprio gusti adatti ad ogni palato, ma con il tempo (diciamo pure vecchiaia) si impara anche ad amare il fatto di poter essere una voce fuori dal coro...

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