The Guilty – Il colpevole, opera d’esordio del regista svedese (trapiantato in Danimarca) Gustav Möller, è un thriller telefonico che si inserisce sulla scia già tracciata da Locke di Steven Knight e ancora più recentemente da Beast Of Burden di Jesper Ganslandt: cinema claustrofobico che si svolge in unico luogo e la cui narrazione si basa solo su ciò che ascolta il protagonista.
L’agente Asger, costretto a svolgere un lavoro che detesta, cioè il centralinista del pronto intervento di Copenaghen, riceve una inaspettata chiamata da una donna che dice di essere stata sequestrata dal suo ex marito. Questa richiesta d’aiuto fa scattare qualcosa nel cervello del protagonista, il cui passato non ci viene spiegato ma che deduciamo essere “macchiato” da un episodio di violenza e da un abuso del suo (ormai ex) ruolo di poliziotto sul campo. Eppure anche stavolta Asger sceglie di “sconfinare”, di andare oltre quelli che dovrebbero essere i suoi compiti e i suoi doveri, per cercare di salvare Iben. Si tratta non solo di un’occasione per fare i conti con i propri errori, di rimediare a qualcosa di cui non si va fieri, ma anche di dimostrare molto virilmente di essere ancora un uomo d’azione, non da scrivania. Asger infatti sembrerà “accendersi” grazie a questa chiamata e sembrerà agire sempre mosso prima dall’adrenalina e poi dal senso del dovere.
The Guilty – Il colpevole: come costruire la tensione
A differenza di Locke, che è il primo modello a cui si pensa guardando il film di Möller, The Guilty non sceglie di “demolire” qualcosa (in quel caso la stessa esistenza del protagonista, che finiva per non avere più nulla, né un lavoro né una famiglia) ma di “costruire” la tensione come farebbe un classico noir. Il film di Möller, infatti, si sarebbe potuto svolgere in maniera molto più canonica, mostrando allo spettatore tutte le fasi delle indagini direttamente dalla prospettiva di chi stava agendo “sul campo”. Invece, rinunciando al narratore onniscente, il regista svedese mette chi guarda nelle stesse condizioni del protagonista. Ma in realtà lo spettatore è doppiamente in difetto. Non può conoscere (come Asger) quello che sta effettivamente avvenendo fuori dalle mura della centrale di polizia, ma non può neanche essere al corrente di ciò che passa nella testa del protagonista prima che questo agisca, rivelando anche al pubblico le sue intenzioni.
The Guilty – Il colpevole: ripartizione della colpa
Come sempre avviene in questo genere di film, ovviamente nulla è davvero come appare. Quella “colpa” ipotizzata nel titolo è equamente suddivisa tra il vero carnefice (chi sta compiendo il reato), il protagonista (che va oltre le sue prerogative) e lo spettatore (che avrà la colpa di dover giudicare senza poter vedere, quindi senza sapere davvero come stanno le cose). The Guilty dimostra allora che quello del “thriller telefonico” non è solo un genere utile a chi vuole mettere in scena una sceneggiatura complessa abbattendo i costi, ma il genere migliore per rendere su schermo cosa vuol dire dover dare conto ad altri delle proprie azioni. Asger, per quanto cercherà di gestire autonomamente la situazione, sarà sempre condizionato dagli altri suoi colleghi, dipenderà da loro. Dovrà dare conto di ogni sua scelta a tutti quelli con cui parla al telefono e, in ultima istanza, allo spettatore della sua storia.