C’era una volta…a Hollywood, recensione in anteprima del nuovo film di Tarantino

c'era una volta a Hollywood

Hollywood, 1969. Rick Dalton (Leonardo di Caprio) è un celebre attore di cinema e serie tv mentre Cliff Booth (Brad Pitt) la sua controfigura. Due bellissimi, proiettati in maniera speculare e simbiotica alla ricerca del successo in una Hollywood fantasmagorica, per certi versi sul viale del tramonto e comunque abitata da tante luci ma anche da numerose ombre. Roman Polanski e la moglie Sharon Tate (che se ne va al cinema per rivedersi sul grande schermo, interpretata da una splendida Margot Robbie) sono vicini da casa, mentre nella parte più remota e molto meno ricca e patinata della città vive “allo stato brado” un gruppo di hippie in cui Cliff s’imbatterà per aver dato un passaggio a una Lolita vagabonda, seducente e disinibita.

Tra pantaloni a zampa, giacche di pelle, tanti poster di cinema e piedi nudi e in bella vista di donne, e immersi in un’atmosfera western di apparente calma spezzata spesso da improvvisi cambi di registro, Rick e Cliff – raccontati nell’arco di due lunghe e intense giornate losangeline – inseguono la loro personale scalata in quella realtà controversa che (come sempre) oppone il bagliore della scritta Hollywood alle tante striscianti ombre della logica del successo e della fama.

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Un cast di grandissimi al servizio di un film-omaggio alla Settima Arte 

A distanza di 25 anni dalla presentazione proprio a Cannes di Pulp Fiction (e dalla conquista della relativa Palma d’Oro in quell’oramai lontano 1994), film che rivoluzionò i connotati del cinema di genere e non solo, Quentin Tarantino torna in concorso alla kermesse francese con il suo C’era una volta a… Hollywood, una sorta di ballata eterogenea e nostalgica sul cinema, sull’arte di fare cinema, e sui tanti oscuri risvolti dello showbiz. Tarantino, che comunica tramite festival a giornalisti e addetti ai lavori presenti alle anteprime del film di non spoilerare o rendere noti particolari rilevanti della trama del film (che – di fatto – non esistono), pare letteralmente sbizzarrirsi con un film che è summa di quei tanti piccoli e grandi elementi che fanno il Cinema e rendono omaggio a un’epoca di transizione e di luci fioche, in dissolvenza tra alba e tramonto dello show.

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Eppure, attraversato lungo le quasi tre ore da una serie infinita di citazioni, rimandi, omaggi, camei, con uno stile divertente e romantico, dissacrante e immancabilmente pulp, quest’ultimo film dell’osannato regista americano pare per molti versi (bel) “fumo negli occhi”. Un grande contenitore di tante bellissime cose arricchite da tutte le qualità tecniche di gestione e messa in scena prerogativa del cinema di Tarantino, e da un cast davvero straordinario (dove figurano oltre ai già citati anche Dakota Fanning, Timothy Olyphant, Al Pacino, Kurt Russell, Damian Lewis, Emile Hirsch, il compianto Luke Perry) dove la bellezza non è solo esteriore, ma anche capacità endemica di comunicare altro, e dove Leonardo Di Caprio e Brad Pitt sono davvero due divi per antonomasia, con il fascino ammaliante di un duo davvero irresistibile e indimenticabile.

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Nonostante ciò, il film del terribile Quentin stavolta si muove a zig zag attraverso le tante scene e proiezioni di un immaginario traboccante di idee (alcune geniali o esilaranti, altre meno) e nella sostanziale mancanza di una traccia narrativa che faccia aderire la forma esuberante alla solidità dei contenuti, come il regista ha fatto spesso e benissimo in altri suoi lavori (Bastardi senza gloria tanto per citarne uno) sposando le storie al suo linguaggio sovversivo, unendo la grammatica dell’immagine a quella della parola e dei contenuti.

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Qui, invece, la fenomonelogia tarantiniana applicata al cinema sembra essere un po’ (troppo) fine a sé stessa, girare a vuoto nel carosello di luci e nel giro di vite che si determina sul set e fuori dal set, e – sì – l’impatto è come al solito travolgente e destabilizzante, ma il peso specifico del film resta inferiore a molti altri a firma dello stesso e sempre geniale, ribelle, sovversivo e davvero terribile (anche nelle sue oculate strategie di autopromozione e marketing) Quentin Tarantino. Un nome, che a oggi continua a essere tutto un programma.

C’era una volta…a Hollywood, recensione in anteprima del nuovo film di Tarantino
4 Punteggio
Riepilogo Recensione
Con C’era una volta a… Hollywood Quentin Tarantino si diverte a fare il cinema parlando di cinema e omaggiando il cinema. Una circonvoluzione divertente, sempre immancabilmente pulp e anche nostalgica sulla settima arte e dintorni, in una Hollywood abitata da tante anime ribelli e diverse. Un film che non trova però il filo di un suo contenuto così forte, ma che si accontenta di girare sulla ruota panoramica di un mondo fatato e dannato, e che poggia – d’altro canto - su un cast straordinario dove spiccano (in primis) bellezza e bravura dei due co-protagonisti Leonardo Di Caprio e Brad Pitt.
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

By Elena Pedoto

In me la passione per il cinema non è stata fulminea, ma è cresciuta nel tempo, diventando però da un certo punto in poi una compagna di viaggio a dir poco irrinunciabile. Harry ti presento Sally e Quattro matrimoni e un funerale sono da sempre i miei due capisaldi in fatto di cinema (lato commedia), anche se poi – crescendo e “maturando” – mi sono avvicinata sempre di più e con più convinzione al cinema d’autore cosiddetto di “nicchia”, tanto che oggi scalpito letteralmente nell’attesa di vedere ai Festival (toglietemi tutto ma non il mio Cannes) un nuovo film francese, russo, rumeno, iraniano, turco… Lo so, non sono proprio gusti adatti ad ogni palato, ma con il tempo (diciamo pure vecchiaia) si impara anche ad amare il fatto di poter essere una voce fuori dal coro...

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