C’è un oggetto (un fischietto) adividere idealmente in due il cortometraggio Il Muro tra di Noi diretto dal giovane film-maker Federico Del Buono, già noto all’interno del circuito festivaliero grazie al suo precedente lavoro Conquista il Mondo, le cui qualità artistiche sono state riconosciute sia in patria che nel mondo. Del Buono torna a collaborare con l’attrice bolognese Vanessa Montanari, su cui aveva già puntato tutto per lo scorso cortometraggio, cementificando di fatto un sodalizio artistico destinato a durare, e trova per il suo nuovo progetto volti noti del panorama televisivo e cinematografico come Ivano Marescotti e Stefano Pesce, interpreti di grande spessore ma anche persone strettamente legate ai luoghi ripresine Il Muro tra Noi, quelle campagne dell’Appennino bolognese che il regista inquadra come luoghi di stupenda desolazione: abitati ma vuoti, enormi eppure in grado di marginalizzare le persone che lipopolano, che si trovano insieme ai confini di queste valli l’uno di fronte all’altro, “costretti” a parlarsi e a risolvere conflitti che altrimenti la distanza avrebbe (momentaneamente) cancellato.
Il Muro tra di Noi è un’opera in costante oscillazione: prima la figura del padre, ossessionata da un fiore che è l’ultima rappresentazione terrena della moglie scomparsa, conforto reale ma temporaneo, bellezza commovente ma destinata a deperire, poi la figura del figlio, ossessionata invece da un fischietto che la ancora ad un passato guardato con dolcezza ma che rischia di essere un freno al definitivo compimento di un personaggio segretamente in attesa dell’approvazione di un padre che invece cerca in tutti i modi di rifiutare. Del Buono si insinua tra le crepe della villa e tra quelle che si sono approfondate nel rapporto tra i due personaggi che la abitano, mettendo in costante risalto la dualità (e l’ambiguità) di un protagonista che ha paura di diventare come suo padre, ma che allo stesso tempo può risolvere i suoi problemi personali solo attraverso una riconciliazione con lo stesso.
Del Buono inserisce questo suo moto oscillatorio in un sistema di riferimento che è invece rigido, ponendo i suoi personaggi in una continua attesa di se stessi. Non c’è un personaggio terzo che deve arrivare, nessun fantomatico Godot da aspettare in eterno. Se Alex è in attesa di un primo segnale da parte di suo padre Pietro, così Pietro sembra spingere sempre più il figlio verso una presa di coscienza sempre rimandata. Invece i due dovranno compiere insieme la loro catarsi per essere finalmente liberi di proseguire e di compiere quel passaggio di testimone annunciato dal fischietto.