Se sempre più registi stanno sondando le possibilità produttive dei servizi di streaming online (Scorsese e Baumbach sono i casi esemplari dell’ultimo anno), c’è chi consolida un sodalizio iniziato con lungimiranza in tempi non sospetti. Alla sua quarta collaborazione con Netflix, Spike Lee porta sul (piccolo) schermo Da 5 Bloods – Come Fratelli, un film audace e composito, come la storia produttiva che si porta dietro. Nel 2013 una sceneggiatura dal titolo The Last Tour viene proposta a Oliver Stone, regista di Platoon e Nato il 4 luglio, e non è un caso. La storia parla infatti di 4 veterani bianchi della Guerra del Vietnam, che ai giorni nostri devono tornare sui luoghi dei combattimenti, per recuperare i resti di un amico morto in battaglia e un tesoro nascosto.
Gli anni passano, il progetto salta, finché nel 2017 lo script arriva tra le mani di Lee, impegnato all’epoca nella lavorazione di BlaKkKlansman, film che gli avrebbe dato l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. Due anni dopo, nel 2019, il regista è dietro la macchina da presa: Da 5 Bloods – Come fratelli, il nuovo titolo scelto, è una rivisitazione della sceneggiatura originale in salsa “Spike Lee Joint”, un manifesto di poetica con un tempismo sconcertante per le tematiche trattate.
Da 5 Bloods | La sinossi del film
Paul, Otis, Melvin e Eddie sono quattro veterani afroamericani della Guerra in Vietnam. Hanno combattuto insieme al fronte e questo ha creato tra di loro un autentico rapporto di sangue. Un quinto “fratello”, Stormin’ Norm, era il comandante del plotone e un saggio punto di riferimento, capace di guidare le loro azioni e i loro ideali. Ai giorni nostri, mentre le loro vite hanno preso strade diverse e non sempre soddisfacenti (tra alcolismo, traumi post-bellici, patrimoni sperperati), i quattro superstiti decidono di affrontare un viaggio che li riporta nelle foreste vietnamite, per recuperare i resti del compagno Norm, morto in combattimento, e un tesoro in lingotti d’oro trafugato al governo americano ai tempi della guerra.
Raggiunti dal figlio di Paul, preoccupato per la stabilità mentale del padre, affrontano quindi una missione esplorativa che li conduce a riaprire vecchie ferite e a crearne di nuove. Ottengono i loro obiettivi ma si trovano presto coinvolti in una spietata caccia all’oro con esponenti della criminalità locale, mentre il mondo si disvela nella sua perpetua, immutata crudeltà.
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Da 5 Bloods | Un tempismo perfetto
Ci si aspetta che il cinema sia una lente d’ingrandimento in grado di farci leggere in modo più chiaro l’attualità, ma la potenza espressiva di Da 5 Bloods, a poche settimane dai fatti riguardanti l’assassinio di George Floyd e nel pieno delle rivolte contro i soprusi compiuti dalle forze dell’ordine americane sui cittadini di colore, marca davvero un tempismo eccezionale. L’opera di Spike Lee, partendo da filmati di repertorio, che testimoniano lo sfruttamento compiuto dal governo ai danni dei cittadini afroamericani, sottopagati e mandati a morire al fronte, dichiara sin dai primi minuti il proprio intento di rappresentazione e denuncia della questione razziale.
E raccontando il Vietnam attraverso gli occhi di quei soldati, ci offre finalmente un punto di visione differente, che sposta l’obiettivo dal classico eroe bellico dei film di genere, al combattente sfruttato in patria per questioni etniche e mandato in guerra per opportunismo. Così anche la sottrazione dei lingotti d’oro, mandati dal governo USA come ricompensa agli alleati locali, diventa un gesto compiuto dai cinque per fronteggiare l’ingratitudine della loro patria e garantire a se stessi e al proprio popolo una ricompensa. L’ingiustizia è un tema portante di Da 5 Bloods, ma la necessità di ristabilire un ordine naturale sfugge ogni schematismo e non cerca rifugio in semplificazioni: persa la loro guida spirituale, schiacciati da una vita che non ha potuto cancellare il passato, i quattro veterani sono deboli, vinti, persino il loro senso di appartenenza al gruppo vacilla, talvolta sono ostili l’uno verso l’altro come soldati su linee nemiche. Eppure la loro umanità li rende terreni, molto più del compianto Norm, che al contrario diviene quasi una figura cristologica.
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Da 5 Bloods | Un racconto ambizioso
Ciò che rende Da 5 Bloods un film estremamente ambizioso è la decisione di alternare due piani narrativi, di cui uno, quello della Guerra in Vietnam, fortemente connotato e riconosciuto dall’immaginario collettivo, l’altro, che si svolge nell’attualità, incentrato sul riscatto (materiale e spirituale) che rischia di tramutarsi in avidità. Lo spettatore conosce gli eventi storici narrati, li visualizza nella mente, sia perché furono documentati all’epoca, sia per la ricca bibliografia filmica a disposizione. Il Vietnam del 1971, marcato stilisticamente da un aspect ratio in 4:3 e una pellicola 16mm, ha l’impatto visivo di una ripresa dal campo, colori saturi e neri profondissimi.
Per quanto gli eventi contemporanei occupino la maggior parte del film, l’empatia verso i fatti storici, agevolata da scelte registiche ad hoc, lascia alla corsa all’oro che si svolge ai nostri giorni un posto di second’ordine e in noi l’impressione che si tratti di uno strascico d’azione poco legato con il passato. La sensazione, a volte, è che i due segmenti della narrazione non siano resi in modo funzionale l’uno all’altro, aspetto che si traduce, in fase di scrittura, nella necessità di far dichiarare ai personaggi, in modo troppo prosaico, quanto questo legame sia invece importante.
Paul, che si avvale di una incredibile interpretazione di Delroy Lindo, ne è l’emblema: è il centro emozionale del gruppo, il più impulsivo, quello a cui Spike Lee affida più luci e più ombre, un portavoce, che è però anche il componente più verboso e didascalico della pellicola. La scelta stessa di non ringiovanire o sostituire gli attori nelle scene di guerra del passato, se da un lato è un tocco stilistico molto interessante, che sembra permettere ai personaggi di oggi di rivivere e rileggere i fatti di quarant’anni prima, dall’altro è una tecnica astuta per saldare due piani narrativi che sembrano aver bisogno di ripetute conferme.
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Da 5 Bloods | Il peso della morale
Applicando queste ultime considerazioni al film nel suo complesso, si rafforza l’impressione che Da 5 Bloods, un’opera elaborata e concepita in un’ottica progettuale composita, non riesca sempre a celare con naturalezza l’edificio su cui poggia. In altre parole, trattandosi di cinema-manifesto, che ha tra gli scopi primari quello di marcare una posizione e in conseguenza di muovere una denuncia, c’era la possibilità che divenisse un pamphlet a tutti gli effetti. Spike Lee non è certo un neofita del cinema civile e politico, sa come muoversi, anche inserendo registri espressivi (compresi quello satirico e comico) che veicolano messaggi in modo talvolta più incisivo di altri. Ma le intenzioni scavalcano qua e là le azioni e il film sente spesso la necessità di giustificarsi. Ciò che forse funziona un po’ meno è la decisione di innestare il segmento narrativo relativo alla lotta per l’oro, che da un lato mina l’organicità della storia, dall’altro costringe a connessioni marcate e poco naturali.
Da 5 Bloods | Una lezione di regia
Persecuzioni razziali, guerra, fedeltà, traumi, ricompense, criminalità: il Vietnam che racconta Spike Lee, diviso tra presente e passato, è sempre ugualmente sporco, o meglio sono sporche le dinamiche delle persone che gravitano intorno ad esso. La carne al fuoco è tanta, forse troppa. Eppure la lucidità del messaggio, caro al regista dagli albori della sua carriera, riesce a trarre nuova linfa da uno sperimentalismo rappresentativo magistrale, reso ancor più graffiante dalla tempestività con cui ha incontrato un momento storico in cui è importante recepirlo. Spike Lee firma un attacco alle zone d’ombra dell’America di oggi, scuotendo la polvere opportunamente depositata sui fatti di ieri.
A 63 anni, supportato da una fotografia che si reinventa continuamente puntellando la storia che racconta, usa la macchina da presa in modo creativo, vitale e giovane, investendola di un ruolo da manuale: divenire l’interprete del proprio sentire, uno strumento d’indagine capace di correggere i passaggi talvolta legnosi di una sceneggiatura troppo scritta. E così anche quando la morale diventa ingombrante, Da 5 Bloods non rinuncia a toccare le corde che gli sono care, quelle del sogno americano implacabilmente schiacciato sotto il peso del risveglio.