Il nido delle aquile è affacciato sul precipizio, nel cuore delle Alpi. Due piccoli aquilotti orfani di padre si contendono la supremazia e uno getta l’altro nel vuoto, ma il piccolo aquilotto sopravvive. Ecco Abel, il figlio del vento, dove il nuovo Abele sopravvissuto all’attacco del fratello Caino è un giovane aquilotto ancora incapace di volare.
Il film di Gerardo Olivares e Otmar Penker, in concorso al Giffoni Film Festival nella categoria Elements +10, era nato come un documentario sulle aquile, ma dopo due anni di riprese una felice intuizione del produttore lo ha trasformato in un’avvincente storia di fiction, con attori come Jean Reno, Tobias Moretti e il giovane Manuel Camacho. Il piccolo Lukas (Manuel Camacho), un ragazzino orfano di madre, vive in una baita isolata sulle Alpi con il padre Keller (Tobias Moretti), un cacciatore burbero e severo. Entrambi chiusi in un dolore antico, non riescono a comunicare. Sarà Lukas a trovare il piccolo aquilotto caduto dal nido, a nutrirlo e ad insegnargli a volare, aiutato dal guardacaccia Danzer (Jean Reno), che si prende cura di lui come un padre.
“C’è un momento nella vita in cui bisogna imparare a volare da soli, e questo vale sia per il ragazzo che per l’aquila” ha commentato il regista Olivares, presente in sala con il sedicenne Manuel Camacho, sintetizzando la traccia del film. Lukas e Abel vivranno insieme per un’estate, legati uno all’altro in un rapporto fatto di fiducia e accudimento, che farà crescere entrambi fino al difficile momento di spiccare il volo da soli. Interamente girato sulle Alpi, tra l’Austria e il Parco dello Stelvio, il film si snoda intorno a grandi silenzi ed immensi paesaggi, sorretto da pochi e significativi dialoghi, eppure trattiene anche i più giovani spettatori con il fiato sospeso, strappando applausi ad ogni passaggio. Il mondo della natura è dominato da una catena di inesorabili rapporti di forza, di vita e di morte, come raccontano le splendide riprese di vita animale. Qui però un atto di amore e di amicizia sovverte questa catena e realizza l’impossibile, aprendo alla vita sia Lukas che Abel, che con il coraggio e la pazienza trovano un nuovo inizio. Così Abel impara a volare, e Lukas impara che la speranza non deve morire.
Il rapporto tra l’uomo e il rapace è sempre stato specchio e palestra di rapporti di crescita, un incontro che pare impossibile eppure si realizza con forza e dolcezza (in questo momento è protagonista anche in libreria, con il bellissimo e vendutissimo libro autobiografico di Helen Macdonald Io e Mabel, dove l’autrice supera il lutto per la morte del padre attraverso l’addestramento di un àstore, uno dei più indomabili tra i rapaci), e la sua rappresentazione è sempre avvincente. Qui, superando grandi difficoltà tecniche, con diciotto aquile che si sono alternate sotto l’esperta guida degli addestratori, possiamo quasi vivere in prima persona lo straordinario legame tra l’aquila e il ragazzino. Lukas è interpretato con intensità commovente dal giovane Camacho (già premiato con il Goya in Spagna come miglior attore rivelazione), che sostiene senza difficoltà il rapporto scenico Tobias Moretti, il padre, e soprattutto con Jean Reno, che presta con misura il suo viso forte al guardacaccia Danzer, voce narrante del film. È un piccolo cast di tre soli personaggi immersi nella forza della montagna, sovrastati ora dalla presenza e ora dall’assenza dell’aquila: passando dai giorni assolati alle gelide bufere invernali, i protagonisti compiono il loro percorso per essere liberi dal passato, ritrovare una relazione tra padre e figlio, ed infine scegliere il proprio destino. Come ricorda il personaggio di Jean Reno, bisogna scrivere da soli, sul libro della vita.
Distribuito da Adler Entertainment, il film sarà nelle sale italiane dal 29 settembre