Addio a Gae Aulenti, la donna che ha cambiato l’architettura

La “signora dell’architettura”. Così venne soprannominata Gaetana Aulenti, più nota al mondo come Gae, una delle donne architetto che rivoluzionò, con la sua passione e la sua abilità lavorativa, il mondo dell’architettura. Oggi se ne è andata all’età di 85 anni, da compiere il prossimo dicembre, stroncata da una malattia che da tempo aveva segnato la sua vecchiaia, lasciando di sé la traccia evidente dell’immortalità insita nelle grandi opere prodotte. “Mia madre era malata da tempo ma ha tenuto duro. Teneva molto al premio della Triennale, si è fatta forza e con entusiasmo ha partecipato a questa cerimonia. E’ stata la sua ultima uscita” ha annunciato la sua unica figlia Giovanna, ricordando l’ultima apparizione pubblica della madre risalente allo scorso 16 ottobre.

Nata da una famiglia pugliese ad Udine nel 1927, nel 1953 si laureò al Politecnico di Milano prendendo parte ai dibattiti del tempo tra i fautori del razionalismo e gli oppositori di cui lei faceva parte. Per lei, la prima vera archi-star del nostro Paese, l’architettura era un’espressione legata al contesto. Una variabile da inserire in un determinato locus. A rivedere la sua carriera si hanno i brividi a pensare a quella donna così determinata e appassionata, capace di realizzare la ristrutturazione di Gare d’Orsay, la stazione ferroviaria parigina divenuta quell’incantevole museo che oggi accoglie i dipinti degli impressionisti, oppure di Palazzo Grassi a Venezia, sede di mostre internazionali. Di sua mano il progetto di Piazzale Cadorna a Milano, il Museo d’arte catalana di Barcellona, le ex Scuderie del Quirinale a Roma, ma anche l’intervento di restauro al Palazzo Branciforte di Palermo, una delle sue ultime opere sull’edificio della fine del ‘500, all’aeroporto San Francesco di Perugia, e all’Istituto italiano di cultura di Tokyo.

Dico che si è perso il senso del contesto che per l’architettura è importantissimo. Per me senza le connessioni col contesto non solo fisico ma anche concettuale e culturale, l’architettura non esiste. L’importanza del nostro lavoro consiste nel cercare le differenze. Io ho fatto tre grandi musei, a Parigi, a Barcellona e a San Francisco. E non posso dire che le tre città sono le stesse. Devo andare a ritrovare differenze anche sotterranee e non evidenti ma che devo andare a riconoscere perché mi creano la continuità di un contesto”. È quel legame con il contesto che ci indica oggi la via da seguire per non dimenticare mai l’opera di una donna che ha mutato non soltanto l’architettura, ma anche il modo stesso di concepire il ruolo femminile nell’arte. Avanguardia? Forse no, semplicemente l’idea di cambiare.