In questi giorni di quarantena proviamo a raggiungere i protagonisti del grande e piccolo schermo, telefonicamente o attraverso i social. Alberto Malanchino ha accettato il nostro invito per un’intervista in diretta Instagram, pochi giorni dopo la fine della prima parte della prima stagione della fiction Rai, DOC – Nelle Tue Mani, in cui interpreta il dottor Gabriel Kidane al fianco di Luca Argentero, Matilde Gioli, Sara Lazzaro, Pierpaolo Spollon.
Nato a Cernusco sul Naviglio, Malanchino è in parte italiano in parte africano, del Burkina Faso. Colpisce subito la sua spontaneità e solarità anche in un momento difficile come questo in cui siamo tutti costretti a casa a causa di una brutale pandemia. “Tutto bene dai, faccio tanto sport, guardo serie tv e ho ripreso a suonare il basso elettrico. Poi sto ascoltando tantissima musica e sto scoprendo artisti che non conoscevo; è un’epifania perchè a volte ti fossilizzi sugli stessi artisti e lo stesso genere, invece è bello avere il tempo di esplorare” ha detto in collegamento da Roma.
Il 29 Aprile lo vedremo anche in una serie tv Netflix intitolata Summertime, prodotta da Cattleya e liberamente ispirata al romanzo di Federico Moccia, Tre Metri sopra il Cielo. Ecco cosa ci ha raccontato Malanchino di questa esperienza, di DOC – Nelle Tue Mani tra le corsie di un ospedale, del suo percorso attoriale e delle sue speranze per il futuro. E anche qualche sogno nel cassetto, come scrivere una sceneggiatura e lavorare con Ron Howard.
Hai fatto qualche maratona Netflix in questa quarantena?
Ho ripreso la serie Mad Man di qualche anno fa, l’avevo lasciata a metà.
Doc – Nelle Tue Mani ha fatto ottimi ascolti ed è andata in onda in un periodo “purtroppo” perfetto. Che esperienza è stata per te?
Fantastica. Avevo fatto altre serie, ma in DOC ho avuto l’opportunità di passare molto tempo con il mio personaggio e di viverlo in ogni episodio. Siamo cresciuti letteralmente insieme e ci siamo presi per mano in un certo senso. Quindi è stata un’esperienza forte e costruttiva, anche con tutti gli altri membri del cast. Siamo rimasti tutti molto stupiti dallo share. Sapevamo che stavano facendo qualcosa di molto bello, ma tutta questa fiducia da parte del pubblico a casa è stata incredibile, un bel regalo. Abbiamo iniziato a girare lo scorso Settembre in tempi non sospetti e poi è arrivato il coronavirus. Nessuno poteva immaginare.
Come ti sei preparato per interpretare un medico?
Sono la generazione di Scrubs e sono innamoratissimo di quella serie. Ci sono alcune cose che fanno parte della tua memoria. Anche il Doctor House lo guardavo mentre andavo alle superiori. Quindi avevo questi riferimenti, ma non ho voluto affrontare il personaggio ricalcando alcune cose già fatte, per non rischiare di proporre una cosa già vista e poco originale, quindi ho fatto un altro tipo di percorso.
La produzione Lux ci ha dato la possibilità di fare un piccolo training in ospedale al Policlinico Gemelli di Roma e lì abbiamo guardato come lavoravano il Professor Landolfi e la dottoressa Barbara Fossati insieme ai loro team e ai tirocinanti. Abbiamo studiato come interagivano tra di loro e con i pazienti e questo è stato il vero primo approccio. Ti rendi conto di cosa vuol dire essere un dottore, la responsabilità enorme. Devi avere il controllo di tutto quello che succede e dare retta intanto ai pazienti. Quindi non può mancare la professionalità ma anche l’umanità.
Come descriveresti il tuo personaggio Gabriel? Vivrà un’evoluzione nel corso della serie?
Il personaggio di Gabriel si comincia un po’ a scoprire negli ultimi episodi andati in onda, rispetto alle prime puntate. E’ una persona molto professionale e dedita al lavoro, ma ha questo passato molto buio e burrascoso. Ha origini etiopi, ma è cresciuto in Italia e, andando avanti nella serie, il suo conflitto interiore diventa sempre più prepotente. Ci saranno dei cambiamenti nella sua vita e vi regalerà tante emozioni. Ci sarà questo matrimonio annunciato di cui però non posso dire niente.
Ho notato nelle prime puntate che Gabriel è riservato e trattenuto per quanto riguarda le relazioni. Sembra difficile per lui aprirsi emotivamente?
Sì questa cosa viene dal suo essere professionale, è un professionista e questo distacco gli è stato insegnato in un certo senso. Lui è uno specializzando senior e ha conosciuto Andrea Fanti in un momento in cui Andrea Fanti era un uomo tremendo. E poi ha avuto un’infanzia molto particolare, è venuto in Italia e ha dovuto costruirsi una vita. Quando racconta la sua storia a Fanti gli dice di essere stato incarcerato in Libia nei lager libici. Quando ti interfacci con una cultura che non è la tua devi avere tanto rispetto e riuscire a trovare punti in comune.
Hai qualcosa in comune con Gabriel?
Io sono per metà del Burkina Faso, mia mamma è del Burkina Faso e sono cresciuto con una doppia cultura. Quella più predominante è quella italiana però anche la cultura burkinabè è in parte franco-africana, quindi un po’ francese e un po’ araba per le colonizzazioni e questa cosa ti permette di avere una mente più aperta quando affronti personaggi come Gabriel. Per me è importante capire le cose in comune con il personaggio quando leggo un copione, per poi giocare con le cose che invece sono lontane da te.
Cosa hai imparato facendo DOC – Nelle Tue Mani?
Ho conosciuto molto medici, molti ci hanno affiancato sul set e per loro era fondamentale il discorso dell’empatia. Molti di loro dicevano che il rischio peggiore di questo mestiere è non dimostrare empatia; non la perdi ma nell’abitudine e routine quotidiana o per salvaguardare la tua persona può passare in secondo piano. Questo mi ha colpito molto.
Cosa hai imparato da Gabriel?
La possibilità di lasciarsi andare. Tante cose che lui fa io non le avrei fatte nella mia vita. Però mi ha fatto da specchio e mi ha dato la possibilità di capire quante volte uno trattiene delle emozioni o ha paura di aprirsi con le persone che lo circondano e quanto questo atto di fiducia a volte ripaga.
Da piccolo sognavi di fare l’attore o altro?
Tantissime cose, dal poliziotto all’astronauta, il cantante, il bassista internazionale… Ho studiato ragioneria ma volevo fare l’alberghiero. Non me lo hanno permesso e alla fine forse è andata bene. Ma pensandoci avrei voluto tanto fare il cuoco.
Quando è scoppiato l’amore per la recitazione?
A 18 anni ho avuto un’epifania. Facevo uno stage in un’azienda dove compilavo moduli e mi stavo odiando, non mi piaceva per niente, era estate e avevo tre debiti a scuola. Ma mia mamma è una grande cinefila e fin da piccolo mi ha fatto vedere tantissimi film. A 5 anni avevo già visto tutti i Vhs de La Piovra, Il Padrino, Cyrano de Bergerac, tutti i film di Jim Carrey.
Poi mi incuriosiva che tutti gli attori parlassero in italiano perchè da piccolo non capivo cosa fosse il doppiaggio. Quindi uno dei grandi amori è stato il doppiaggio. Poi tutto è partito dalle recite a scuola, che erano l’unico momento in cui mi concentravo perchè per il resto ero una capra a scuola. Lo sport e la recitazione invece andavano bene. Al liceo una nostra insegnante di diritto ci portò a vedere a teatro Le allegre comari di Windsor e ho pensato che quella fosse la mia strada che “volevo morire su un palcoscenico“.
Il 29 Aprile arriva su Netflix Summertime. Cosa ci puoi dire di questo progetto e del tuo personaggio in questa nuova serie?
Io mi chiamo Anthony e sono il papà delle protagoniste. Un papà giovane che hanno provato a stagionare in fase di trucco. Sono un trombettista e altro non posso dire purtroppo. Comunque è un bel progetto e credo sia una grande sfida di Netflix Italia nei confronti del mondo perchè sarà disponibile in 190 paesi e non vedo l’ora di sentirmi doppiato in giapponese.
Quando ho visto il trailer volevo piangere perchè era estate quando abbiamo girato e ora ci stiamo sognando un’estate normale.
Il tuo rapporto con i social?
Io sono cresciuto con i Vhs e mi sento ancora molto analogico ma sto imparando. Mi farò aiutare dalle mie cugine più piccole. E’ giusto che ci siano altri modi di trasmettere le proprie opinioni e comunicare. Lo trovo molto utile perchè hai anche un feedback immediato con le persone che ti guardano. Anche se a volte ho la sensazione che questo essere sempre iperconnessi bruci un po’ i tempi: si vive molto il momento come se poi le cose avessero meno valore l’attimo dopo.
Come attore hai un modello di riferimento?
Denzel Washington mi piace molto, e Cillian Murphy. Come italiano Pierfrancesco Favino.
Come hai lavorato con Luca Argentero per DOC – Nelle Tue Mani?
Luca è un grande, ha sempre portato buonumore sul set, non ci sono stati mai momenti di tensione, abbiamo parlato molto delle scene. E poi il rapporto era anche fuori dal set, c’era sempre un momento per le battute e gli scherzi…io gli facevo il verso con l’accento piemontese.
Un ruolo che vorresti fare in futuro?
Mi piacerebbe fare un cattivo per esplorare la zona d’ombra dell’attore.
Un sogno nel cassetto?
Sicuramente continuare a fare l’attore e poi scrivere una sceneggiatura. Ho buttato già un soggetto con una mia amica e siamo ancora in fase di studio e analisi, ma mi piacerebbe che un giorno diventasse qualcosa di concreto.
E il tuo rapporto con il cinema? Se non sbaglio hai recitato nel film Easy Leaving che però doveva uscire proprio in questo periodo ed è stato sfortunato?
Lo devono distribuire, è andato al Torino Film Festival e ci sono stati riscontri positivi. Si tratta del mio primo film e sono anche co-protagonista. Sono Elvis, un migrante che deve attraversare il confine tra Mentone e Ventimiglia perchè in Francia, a Parigi, c’è la sua compagna con il figlio. I registi hanno giocato molto sull’amicizia, ovvero su cosa sei disposto a fare per aiutare un amico, piuttosto che puntare sul tema dell’immigrazione. Resta leggero e auto ironico come film, ma è anche toccante e sentimentale.
Continuando a pensare al cinema con quale regista ti piacerebbe lavorare?
Virzì, Marco Tullio Giordana e Ron Howard. Punto in alto, ma se uno deve sognare meglio farlo bene.