Avrebbe compiuto un secolo tondo tondo proprio oggi, ma se n’è andato già da diciassette lunghi anni uno degli uomini simbolo del nostro cinema, capace come pochi di incarnare l’italiano medio nelle sue molteplici sfumature e adattarlo sia a contesti leggeri, predominanti nella sua lunga carriera, che drammatici. Alberto Sordi manca al pubblico come non mai, anche per via del fatto che come tanti colleghi contemporanei non ha trovato veri e propri eredi – nonostante i timidi tentativi di Carlo Verdone, con cui ha collaborato nell’ultima fase – nel panorama moderno. In occasione di questo compleanno mancato diamo un rispettoso omaggio ad uno dei simboli della cosiddetta commedia all’italiana.
Alberto Sordi | Gli inizi e il successo
Romano di Trastevere, l’Albertone nazionale è figlio di una coppia di docenti e la cultura va da sé, nella sua accezione più piacevolmente popolare, era già insita nel suo DNA. Tanto che già alle elementari improvvisava recite e spettacolini, segno inequivocabile di quale fosse il destino che lo attendeva, nonché si dilettava con ottimi risultati nel canto nel ruolo di soprano delle voci bianche della Cappella Sistina. A sedici anni si trasferisce nel Nord Italia per studiare arte filodrammatica all’accademia di Milano, un’esperienza finita nel peggiore dei modi per via della sua caratteristica inflessione romanesca. Dopo lavori come comparsa la sua voce viene messa al servizio della storia del cinema quando vince un concorso per doppiare il leggendario Oliver Hardy, il mitico Ollio dell’iconica coppia comica, dando inizia ad una parallela carriera (tra i tanti si trovò anche a doppiare Marcello Mastroianni) che non fu la sola extra-cinema: Sordi infatti diede prova delle sue abilità anche sul palcoscenico in svariate rappresentazioni e pure nel mezzo radiofonico.
Dopo alcuni ruoli minori, collaborando tra gli altri con Gilberto Govi e Walter Chiari, gli anni ’50 sono il periodo della definitiva consacrazione sul grande schermo: Federico Fellini lo lancia prima nello sfortunato Lo sceicco bianco (1952) e poi nel futuro cult de I vitelloni (1953) – dove compare una famosa scena ben consolidata nell’immaginario comune – e pure Steno lo vuole a strettissimo giro di ruota per Un giorno in pretura (1953) e Un americano a Roma (1954) – altra sequenza iconica, quella degli spaghetti. In queste prime parti di peso Sordi dà vita al suo tipico personaggio che lo accompagnerà nel corso dell’intera filmografia. Da lì in poi, ottenuti i favori e la simpatia delle masse, l’attore partecipa a una quantità sempre maggiore di pellicole, girando ad un ritmo incessante (in totale prenderà parte a circa 200 titoli). Alla fine di quel decennio esce un’altra commedia rimasta nel cuore del pubblico, ossia Il vedovo (1959) dove divideva il set con Franca Valeri, mentre al fianco di Vittorio Gassman veste lo scomodo ruolo di un soldato nel memorabile capolavoro di Mario Monicelli La grande guerra (1959).
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Alberto Sordi | Gloria e discesa
Negli anni ’60 viene diretto da altri grandi registi come Luigi Zampa (Il vigile, Il medico della mutua), Luigi Comencini (Tutti a casa), Vittorio De Sica (Il boom), Dino Risi (Una vita difficile), Ettore Scola (Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?) e Luciano Salce (Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue). Il decennio successivo inizia col botto, facendogli vincere l’Orso d’argento per il miglior attore a Berlino per l’interpretazione drammatica in Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanni Loy e si conclude altrettanto magnificamente con un’altra performance impegnata in Un borghese piccolo piccolo (1977) di Mario Monicelli, con altri leggendari exploit nella commedia teatrale come nell’adattamento de Il malato immaginario (1979).
Gli eighties non sono portatori di medesime fortune, dando il via alla fase discendente della carriera – nella quale si era anche dilettato, con risultati altalenanti, in vesti di regista – che coincideva con la fine della commedia all’italiana classica. Tolto Il marchese del Grillo (1981) dove si sdoppia con riuscito mimetismo, le altre produzioni dove spesso si è autodiretto non hanno lasciato il segno: dal dittico de Il tassinaro ai suoi lavori con Verdone fino ai successivi – siamo già negli anni ’90 – Nestore, l’ultima corsa (1994) e Incontri proibiti (1998), la verve è andata in progressivo calare, portandolo al ritiro dalle scene prima dello scoccare del nuovo millennio. Ma ormai Alberto Sordi era entrato nel cuore della gente, lasciando un segno indelebile nel mondo della cultura del BelPaese rispecchiando vizi e virtù di quel popolo che così tanto lo ha amato, e lo ama ancora.