“L’Arte non può essere moderna, l’Arte appartiene all’eternità”. Trecentocinquanta dipinti e duemilaottocento opere tra acquerelli e disegni in soli 28 anni di vita. Questo è Egon Schiele. Artista e uomo in un mondo complesso, in cui si fondono e si mescolano le espressioni più compiute dell’opera d’arte. Espressionista, secessionista. O più semplicemente il pittore dei sentimenti, quelli autentici, quelli romantici, quelli pieni di vita vera. Egon Schiele porta in scena, nei suoi dipinti, la verità delle espressioni. Disagio interiore, introspezione psicologica. Quanto di più vero esiste negli esseri umani, Schiele lo ritrae. Non è il bello a prendere piede nelle sue narrazioni col pennello. Bensì sono le persone reali, ritratte come un universo tanto spigoloso e disarmonico, quanto le forme delineate dalle pennellate secche, sintetiche, rapide. Gustav Klimt e Oskar Kokoshka: sono questi i nomi che si legano a Schiele. La Secessione viennese. I primi anni del XX secolo. Questo è il contesto nel quale si muove quel pittore così giovane per morire a ventotto anni eppure così grande da aver compiuto una produzione di opere così vasta.
Il 31 ottobre del 1918, Schiele morì, tre giorni dopo la moglie, d’influenza spagnola. Il 5 febbraio 2012, a poco meno di un centenario dalla sua scomparsa, la casa Sotheby’s metterà all’asta tre disegni del pittore e incisore austriaco, attribuite al periodo cruciale tra il 1914 e il 1918. Le tre opere, provenienti dal Leopold Museum di Vienna, sono stimate complessivamente tra i 9 e i 12 milioni di sterline. Numeri. Cifre. Per un’arte che non ha prezzo.