Tra i filmmakers più anticonformisti d’America Charlie Kaufman ha sempre goduto di una posizione privilegiata. Ha collaborato con alcuni dei più grandi talenti contemporanei (Spike Jonze, John Malkovich, Michel Gondry) e vinto un Oscar (con Se mi lasci ti cancello) senza mai rinunciare all’unicità del suo stile e all’insistenza con cui indaga la natura dell’animo umano. Ma la crisi dell’industria cinematografica ha danneggiato perfino un genio come lui che, per finanziare il suo ultimo lavoro, è ricorso al sito di crowdfunding Kickstarter. Tramite questa iniziativa nel 2012 ha raccolto la cifra record di 400.000 dollari impiegata per la realizzazione di Anomalisa, un film d’animazione in stop motion di rara bellezza. Le marionette di Kaufman sono più umane degli umani: soffrono di solitudine ma trovano conforto nell’amore rifiutando un presente ad una sola dimensione.
Per quanto tempo ha lavorato a questo progetto?
«Anomalisa è frutto di un lavoro durato tre anni. Nel 2005 un mio amico vide la mia opera teatrale a cui ci siamo ispirati e mi suggerì l’idea di trasformarla in un film. Poi aprì il suo studio di animazione e mi propose di dirigerlo in stop motion».
Come mai proprio in stop motion?
«È quello di cui si occupa principalmente lo studio di animazione con cui abbiamo lavorato. Ho incontrato Duke (Johnson, il co-regista, ndr), ne abbiamo parlato e mi è sembrata una scelta molto pertinente nonostante sia stata del tutto casuale. Non era il mio piano».
È un fan del cinema d’ animazione?
«Guardo i cartoni animati il sabato mattina (ride, n.d.r.) ma, a parte gli scherzi, farei volentieri un altro film d’animazione».
Da dove nasce l’idea di rendere Michael Stone (il protagonista, ndr) un professionista del servizio clienti?
«Dopo il college ho aspettato ben dieci anni prima che qualcuno accettasse di produrre un mio copione. In quel lasso di tempo sono diventato quasi uno specialista del customer service. Ho lavorato in vari call center ed ero principalmente addetto alle vendite di biglietti. E’ stato il mio pane quotidiano per circa un decennio».
Non crede che ci sia un passaggio fondamentale dal mondo immaginifico dei suoi primi film al realismo di Anomalisa?
«Da un certo punto di vista sicuramente. Dall’altro tutti i personaggi secondari hanno la stessa faccia e la stessa voce e questo elemento inficia il principio di realismo. Tutti i miei film sono radicati nella realtà perché il mio obiettivo è mostrare qualcosa di vero al pubblico, perfino tramite la fantasia».
Anomalisa pone una dilemma: nella vita è meglio combattere o adattarsi a ciò che ci viene offerto?
«Michael Stone prova ad assumersi dei rischi e stabilisce una connessione con l’altro. Non è detto che mantenga fede al suo volere ma non è nemmeno detto che non ritenterà mai più».
Lo ritiene un film politico?
«Certo. Anomalisa riguarda il modo in cui le persone si guardano e, in un momento storico in cui le persone non sono più capaci di vedersi, il film assume, nel suo piccolo, una connotazione politica. Se le persone smettessero di trattarsi come oggetti e tornassero a relazionarsi il mondo sarebbe un posto migliore».
La scena di sesso è una delle più impressionanti, estremamente realistica pur vedendo protagoniste due marionette. L’aveva subito immaginata come un momento cruciale?
«Era importante che il momento di intimità risultasse il più realistico possibile. Non volevo che lo spettatore ridesse di fronte a due marionette che fanno sesso ma che, tramite la vulnerabilità dei due protagonisti, entrasse in empatia con loro».
Come mai la scelta di “Girls Just Want to Have Fun” di Cyndi Lauper come colonna sonora?
«Ad essere onesti il grande sogno era My Heart Will Go On di Celine Dion, la soundtrack di Titanic, ma costava troppo e non siamo riusciti ad ottenere i diritti».
Si sente più libero creativamente da quando ha cominciato a scrivere per se stesso e non solo per altri registi?
«Il mio modo di lavorare non è cambiato perché, per fortuna, ho sempre riscontrato una grande apertura da parte dei registi con cui ho collaborato. Mi hanno sempre reso partecipe e mai tagliato fuori dai progetti. Ovviamente sono felice di avere io il controllo su tutto e poter avere un rapporto diretto con gli attori».
Quanto tempo impiega per scrivere una sceneggiatura?
«Ne ho già alcune pronte se si offre di produrle! Dal 2008 ad oggi l’economia ha influito negativamente sull’industria del cinema americano e gli studios sono sempre più riluttanti ad investire in un cinema non omologato e perciò rischioso. Le faccio un esempio: nessuno ha accettato di produrre Anomalisa e per questo ci siamo affidati al crowdfunding, la Paramount si è convinta a darci fiducia solo dopo averlo visto».
E un progetto per la tv lo considererebbe?
«Mi piacerebbe molto. Ho scritto tre puntate pilota fantastiche ma non hanno avuto fortuna. Le posso assicurare che spaccano ma al momento sono progetti morti e sepolti».
Come telespettatore cosa le piace guardare?
«The Knick e Breaking Bad ad esempio sono delle ottime serie ma non credo nella teoria della Golden Age della tv americana. Se così fosse ci sarebbe molta più voglia di sperimentare come avviene in altri paesi. Nel nostro difficilmente avremo modo di vedere un prodotto irriverente come Black Mirror».
Un’ultima curiosità: la vittoria dell’Oscar è stata determinante per la sua carriera?
«Non direi. Non credo che per gli sceneggiatori abbia lo stesso peso che ha per gli attori. E’ stato un bel momento ma per me è solo un bel trofeo».