Dopo un salto nell’horror tinto di commedia, col suo Bodies Bodies Bodies del 2022, Halina Reijn trova interesse nel genere erotico. Peccato che trovare interesse in un certo tipo di cinema e saperlo fare nel modo giusto, non sia esattamente la stessa cosa.
Quando una star si presta a fare un passo falso
racconta la storia di una donna in carriera (Nicole Kidman), l’amministratrice delegata di una grossa azienda, che mette a repentaglio sia la vita lavorativa che quella personale per una relazione clandestina con un suo stagista molto più giovane.
Una trama già di per sé molto banale e scarna, come infatti si rivelerà essere, ma anche parecchio problematica. Il cast fa tutto ciò che può per mettere in scena un thriller (spesso parodia di sé stesso) provando ad evitare il baratro, ma purtroppo fallisce. Kidman, Dickinson, Banderas, Wilde sono tutti estremamente in parte e misurati nelle loro interpretazioni, ma lo sappiamo, quando la scrittura crolla cede tutto l’edificio filmico.
Un racconto che infastidisce
Essendo scritto, diretto e in parte prodotto dalla stessa Reijn, ogni disagio riscontrato durante la visione e nel conseguente assorbimento di questo Babygirl, si può tranquillamente affermare sia imputabile totalmente a lei. Ecco dunque spiegato il motivo per cui, la disastrosa impotenza narrativa che questo film possiede e che infastidisce a prescindere, sia ancor più imperdonabile se attribuita ad una mente femminile.
Parlare poi di questo Babygirl come di un lungometraggio in concorso per il Leone d’Oro all’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, quando in realtà ha più il sapore di un film tv del sabato sera, qualche risata la strappa. Etichettabile come thriller erotico, per certi versi spinto per altri banalmente già visto, Babygirl regala nudità, messaggi sbagliati e poco altro. I punti chiave che la narrazione attraversa sono su per giù quelli affrontati da molti altri lungometraggi, recenti o più attempati. La variante che Halina Reijn vorrebbe invece inserire è più figlia dei giorni nostri ma in quanto moralmente respingente, è anche posta dal lato sbagliato.
Ostentazione nel mostrare l’errore
Immagini sottosopra promettono fin da subito uno stile particolarmente curato, che ben presto diverrà solo una falsa illusione. Falsa come il potere femminile che viene ostentato per tutta la durata. Un concetto che oggi cavalca le onde sociali ma che qui viene travisato.
Sembra che l’indipendenza sessuale diventi, di punto in bianco, il simbolo di un’ideale giusto, quello che pone la donna libera. Il potere di scelta, la decisione di trasgredire, il sentirsi liberi di lasciarsi andare a perversioni senza più il limite mentale che ci opprimeva prima, non significa essere padroni di se stessi o almeno non è così quando si va a ledere una famiglia intera.
Babygirl insiste su questo concetto, lo fa costantemente fino ad esplodere sul finale, con uno scambio di battute patetico e forzatamente femminista (nel senso instabile del termine). Sia ben chiaro, Babygirl non dice che sia giusto tutto questo o che la protagonista non stia commettendo un errore nei confronti della famiglia, ma tra le righe veicola il messaggio “nella vita si sbaglia, l’importante è capire e ristabilire gli equilibri” e così facendo procede indisturbato.
Basterebbe parlare per risolvere i problemi
“Prima di pretendere l’orgasmo prova solo ad amarti” cantava Irene Grandi, ma probabilmente Halina Reijn non l’ha mai ascoltata. Ecco perché l’esibizione sessuale che fin dalla prima sequenza ci viene posta davanti agli occhi, ci dice immediatamente il contrario. La soddisfazione fisica è essenziale e se il tuo partner, inconsapevole, non è in grado di dartela, allora fai da sola o meglio vai con altri.
In questo accozzamento di morali distorte, dove Cinquanta sfumature di grigio incontra giusto un pizzico di raffinatezza in più, la figura della donna ne esce sconfitta. Lo spirito in controtendenza di Babygirl sorprende e intimorisce. Nessun problema economico all’orizzonte della nostra protagonista, nessun ostacolo visibile, un marito grandioso e due figlie amorevoli. Il grande villan della storia è l’incomunicabilità.
Uno dei grossi problemi della nostra società, un feroce e troppo spesso accantonato scoglio facilmente superabile. Che sia con uno specialista o anche semplicemente in famiglia, basterebbe aprire la bocca e condividere ciò che non va. Ecco perché questo film non funziona, perché punta a mostrare dettagli scabrosi per cercare la facile chiacchiera, avendo però la sfacciataggine e la supponenza di voler fare la morale, di rappresentare qualcosa che dovrebbe smuovere le menti. E accecato dalla sua superficiale copertina deraglia verso un’etica sottosopra.