Berlinale 74: l’inquietante e violento horror The Devil’s Bath | Recensione

Una scena di The Devil's Bath (fonte: Berlinale)
Una scena di The Devil's Bath (fonte: Berlinale)

Una scena di The Devil's Bath (fonte: Berlinale)
Una scena di The Devil’s Bath (fonte: Berlinale)

In concorso alla 74esima edizione della Berlinale, The Devil’s Bath è l’horror diretto da Veronika Franz e Severin Fiala. Un violento e crudele film contro le religioni che colpevolizzano le donne.

Berlinale 74: l’inquietante e violento horror The Devil’s Bath | Recensione
3.6 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

L’anno è il 1750, l’ambientazione è quella della nebbiosa e fredda Austria rurale. Agnes (Anja Plaschg) vive con il marito Wolf (David Scheid), assente e spassionato. Prega che il Signore le dia un bambino, ma il desiderio rimane inevaso poiché il coingiue preferisce la masturbazione al coito, per motivi che i registi decidono di non indagare.

La madre di Wolf, Gänglin (Maria Hofstätter), non è particolarmente affezionata alla nuora. Crede che la donna sia pigra e colpevole di non aver concepito un bambino, al punto da incoraggiare suo figlio ad abbandonarla.

Agnes origlia la conversazione, quasi scoppia in lacrime. La frustrazione della giovane donna si trasforma gradualmente in depressione e inizia a sentirsi in colpa. È una delle prime, tante, dichiarazioni femministe di un film che ci dice alcune cose chiare con estrema violenza e crudeltà. Tra queste: nella società patriarcale, la colpa è sempre delle donne.

Non mancano scene raccapriccianti: dita tagliate, animali macellati, cadaveri in decomposizione, procedure mediche infernali e alcuni giochi molto crudeli. Gli abitanti del villaggio bevono sangue umano, i bambini annoiati strappano i denti degli animali e un gallo viene sadicamente schiacciato con un’asta di metallo per il semplice divertimento del paese.

La tortura e l’uccisione di queste povere creature vengono messe in scena con freddo realismo, e questo non deve sorprendere considerando il background dei due registi, Veronika Franz e Severin Fiala, oltre che del produttore Ulrich Seidl, regista dello scioccante documentario sulla caccia Safari (2016). In questo senso, il film richiama da vicino La ballata di Narayama di Shohei Imamura, anch’esso ambientato in un mondo sprofondato nel suo silenzio, agitato da una violenza che nasce innanzitutto da false credenze, miti, convinzioni sovrannaturali.

Una scena di The Devil's Bath (fonte: Berlinale)
Una scena di The Devil’s Bath (fonte: Berlinale)

The Devil’s Bath è una discesa nella follia femminile simile a quella di Anna di Carl Theodor Dreyer in Dies irae (1943). Anja Phaschg, già molto nota per il suo progetto musicale Soap&Skin, si offre anima e corpo ad un progetto dalla connotazione fortemente anti-clericale, in cui i dogmi della religione finiscono per condizionare in maniera tragica la vita di chi ci crede ma anche – e qui sta la grande intuizione – quella delle incolpevoli vittime che malauguratamente diventano oggetto della follia altrui e del fanatismo cieco di estranei.

La religione, in questo senso, non è qualcosa che fa semplicemente male al singolo, annientato nella sua capacità di autodeterminazione, ma qualcosa che costituisce un pericolo pubblico, dal quale non ci si può dire mai davvero al sicuro.

By Davide Sette

Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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