Non c’è dubbio che il modello del terzo film da regista di Kim Rossi Stuart sia il cinema di Clint Eastwood (o almeno quello successivo a Gli Spietati). Lo si capisce dal tono, dalla caratterizzazione dei personaggi, persino dall’utilizzo delle lenti. Ad un certo punto questo debito cinematografico viene persino esplicitato con una battuta ironica rivolta al protagonista del film (che si chiama Renato, come il protagonista di Anche libero va bene, da cui torna anche la madre Barbora Bobulova).
Il riferimento filmico più calzante, però, nonostante il ranch come ambientazione prediletta e la presenza dell’eremita solitario, sembra essere quello di Million Dollar Baby. Il padre interpretato da Rossi Stuart, ostinato e testardo, vuole dimostrare a se stesso di potersi riscattare da un passato di fallimenti, vincendo una sfida difficilissima per la quale è disposto ad allenarsi senza tregua e a sacrificare tutto il resto (proprio come la Maggie del film di Eastwood). Ha preso un cavallo che tutti ritengono ingestibile, vuole trasformarlo in un “campione” ma nemmeno riesce a montarlo senza rischiare l’osso del collo.
Brado | Kim Rossi Stuart e il western esistenziale
Al contrario, suo figlio (Saul Nanni) è quello inizialmente scettico sulla possibilità che suo padre possa sopravvivere alla propria ambizione. Non ne vuole sapere niente, tenta di dissuaderlo ma poi, per un inconscio desiderio di ricongiungimento famigliare e pacificazione, finisce per farsi trascinare nell’estremo tentativo di addestrare alla competizione equestre quel cavallo apparentemente indomabile. Lui, come l’anziano allenatore di boxe di Million Dollar Baby e come tanti iconici eroi della carriera di Eastwood, è un tipo taciturno, uno per cui i fatti contano molto più delle parole. Relazionandosi con gentilezza al cavallo e imparando a cavalcarlo a suo modo, Tommaso (altro nome ricorrente nella breve filmografia di Kim Rossi Stuart) riuscirà a far capire a suo padre tante delle cose che non è mai riuscito a dirgli in faccia, a segnare la distanza tra due modi diversi e inconciliabili di stare al mondo. E così lo spigoloso genitore, incapace di ammettere a voce alta i propri errori di valutazione, comincerà a rivelare un atteggiamento diverso nella maniera di trattare e accudire l’animale.
Questo Million Dollar Baby a ruoli capovolti, in cui l’insistenza appartiene all’adulto e la reticenza al più giovane, diviene ben presto un film dalla commovente trasparenza d’intenti, una parabola per riflettere su quanto sia difficile trovare la saggezza necessaria per capire quando mollare la presa, la lucidità per ammettere che, in alcuni casi, non ce la si può fare da soli.