Dopo la presentazione al Festival di Venezia, la nuova commedia da regista di George Clooney arriva nelle nostre sale a qualche mese di distanza dalla release americana. Ad incuriosire di Suburbicon non è solo la sceneggiatura dei fratelli Coen, grandi amici di Clooney e per questo bendisposti a cedergli uno dei loro script originali, ma anche il cast stellare che va da Julianne Moore (in un doppio ruolo) ad Oscar Isaac. Il protagonista di questa dark comedy è Matt Damon, che torna a recitare per Clooney dopo una piccola apparizione nel suo esordio registico, Confessioni di una mente pericolosa, ed un ruolo di primo piano nel precedente Monuments Men. Damon veste i panni di Gardner Lodge, padre di famiglia che, come sempre avviene nelle storie coeniane, si troverà al centro di una spirale di violenza dalla quale sarà difficile uscire.Il 2017 è stato un anno certamente importante per Matt Damon, che non solo è stato protagonista di un divertente cameo in Thor: Ragnarok, ma anche il Paul Safranek del nuovo lavoro di Alexander Payne, Downsizing – Vivere alla grande, anche questo in concorso a Venezia. La carriera dell’attore statunitense, da anni sempre sulla cresta dell’onda, è stata certamente segnata da ruoli ormai iconici per il grande pubblico (Jason Bourne) ma anche da riconoscimenti prestigiosi come il Golden Globe per la sua interpretazione in The Martian o l’Oscar per la sceneggiatura di Will Hunting – Genio Ribelle. Damon è però stato protagonista anche di tanti lavori che per una ragione o per un’altra sono rimasti sconosciuti ai più ma che varrebbe la pena riscoprire o rivedere. Eccone cinque da recuperare.
I fratelli Grimm e l’incantevole strega – Terry Gilliam (2005)
Nonostante I fratelli Grimm e l’incantevole strega sia considerato da gran parte della critica una occasione mancata, considerando il nome del regista, un visionario da cui (forse erroneamente) si vorrebbero sempre opere folli, è davvero arduo non restare affascinati dalla forza visiva di questa opera quasi “disneyana” di Terry Gilliam. Damon ed il mai abbastanza celebrato Heath Ledger vestono i panni dei due celebri autori, che Gilliam rende protagonisti delle loro stesse fiabe. Un film dalla forte componente italiana, vista la presenza di Monica Bellucci, nei panni di una regina disposta ad ogni crudeltà pur di riavere la propria bellezza perduta, e di Michele Soavi alla seconda unità di regia.
Geronimo – Walter Hill (1993)
Geronimo segna la seconda collaborazione tra John Milius, il regista che con Conan il barbaro riuscì ad imporre un nuovo codice cinematografico al fantasy, poi rimasto invariato sino a Il Signore degli Anelli, e Walter Hill, uno dei maestri del genere hard boiled. Ma è un passaggio fondamentale anche della carriera di Damon, che proprio dopo questo ruolo sceglierà di abbandonare per sempre Harvard e di fare della recitazione il proprio mestiere. Si tratta di un sentito e rispettoso omaggio al cinema di John Ford, da cui prende il modo di costruire le inquadrature e persino le ambientazioni di uno dei suoi lavori più famosi, essendo girato nel Moab di Ombre Rosse. È una storia di eroismo nella sua accezione più classica ma anche una che non indugia nel mostrare la violenza del proprio protagonista, certamente raccapricciante ma che quasi scompare se confrontata con quella di cui è stato vittima il suo popolo.
Gerry – Gus Van Sant (2002)
Primo lungometraggio di quella che con Elephant e Last Days è stata definita la “trilogia della giovinezza”, Gerry è un lavoro fortemente allegorico che parla delle nostre esistenze, nelle quali sempre più spesso ci smarriamo e dove non ci sono punti di riferimenti a cui aggrapparsi, semplicemente seguendo con lunghi piani sequenza il vagabondaggio dei due protagonisti in un deserto che è metafora del nostro vivere. E se è vero che “le strade portano sempre nello stesso posto”, i due Gerry (Matt Damon e Casey Affleck) camminano senza sosta in un paesaggio senza centro e senza coordinate. Chi guarda resta appeso ad un qualcosa che sembra prima arrivare e poi nuovamente svanire in un “nulla” che rende ogni cosa indistinguibile ed impalpabile.
Elysium – Neill Blomkamp (2013)
Nel 2154 la Terra è un luogo desolato i cui unici abitanti sono poveri appartenenti alla classe operaia, comandati da spietate macchine impostate per sopprimere chi si oppone o chi non produce abbastanza. La classe dominante assiste tra disinteresse e compiacimento dalla stazione spaziale Elysium, dove il benessere non manca e dove esiste la cura per ogni patologia. In questo scenario Damon è un operaio a cui restano poche ore per vivere, dopo un incidente sul lavoro che lo ha esposto ad una quantità mortale di radiazioni. Questo secondo lungometraggio del regista sudafricano, che per alcuni rappresenta una delusione se confrontato con il suo folgorante esordio, prosegue in qualche modo il discorso cominciato con District 9, ovvero quello di parlare del presente, dei suoi problemi sociali e delle sue storture, con storie che si svolgono invece in un futuro distante.
Hereafter – Clint Eastwood (2010)
In uno dei lavori più controversi e divisivi di Clint Eastwood, il personaggio di Damon è una persona con la capacità quasi divina di guardare quello che c’è al di là della mortale esistenza umana ma che cerca in ogni modo di aggrapparsi alla banalità dei giorni che passano, persino iscrivendosi a noiosi corsi di cucina. Il ruolo non è quello del classico “uomo medio” americano, privo di una personalità prorompente e rassegnatosi alla banale normalità delle proprie cene da solo, ma quello di un signore che cerca disperatamente la mediocrità da cui generalmente gli altri fuggono. Eastwood con maestria evidenzia questa sua volontà di “soffocare” ciò che lo rende speciale e Damon si cala alla perfezione nel personaggio. Basta uno sguardo ai suoi vestiti ed al suo taglio di capelli per rendersene conto e non è un caso che anche nel nuovo Suburbicon sia stato selezionato per la parte del più vigliacco “average Joe”.