Il tredicenne Yao (il sorprendente Lionel Basse) vive in un piccolo villaggio nel nord del Senegal e ha il sogno di incontrare il suo mito Seydou Tall (Omar Sy), celebre attore francese prossimamente a Dakar per promuovere il suo ultimo libro. Abbandonato nel progetto dall’amico, Yao deciderà di partire comunque e da solo alla volta del suo sogno, ma il viaggio intrapreso sarà molto più rivoluzionario del previsto in quanto metterà uno di fianco all’altro e in contatto profondo due uomini diversi per età, esperienze, vite, ma nello stesso tempo molto simili nel loro osservare e attraversare il mondo.
Delicato e toccante, Il viaggio di Yao del regista francese Philippe Godeau è un on the road che segue il percorso alla ricerca di sé stesso di un uomo adulto e “realizzato” (Seydou Tall) che si specchia, strada facendo, nella sua ombra bambina (lo Yao del titolo), seguendo e osservando in filigrana aspettative, paure e sogni che, secondo modi e tempi diversi, appartengono a entrambi. Ritrovando il contatto con le sue origini e le sue radici africane, il nero-bianco di Omar Sy, totalmente assorbito nella cultura occidentale (“dentro sei bianchissimo”), incarna la distanza tra mondi ricchi e mondi poveri, mondi frenetici e mondi lenti, mondi stracolmi di opzioni e mondi ancorati in maniera radicale a pochi ma sani principi – “Se hanno fatto da mangiare non si può andare…”. Ma poi, di fatto, il senso della storia è proprio nella diversa scansione di un tempo che passa dall’essere frettoloso, concitato e in qualche modo “bypassato” all’essere vissuto e rispettato nel suo scorrere lento, come luogo di partecipazione e condivisione essenziale al vivere appieno. Un tempo che in quei mondi distanti e polverosi riacquista dunque il suo valore primigenio ristabilendo i tempi giusti e veri dell’esistenza umana, e che rappresenta ne Il viaggio di Yao il cuore pulsante di un cammino da fare insieme, mano nella mano, al fine di “operare” il ricongiungimento tra esistenze e universi lontani ma fondamentalmente uniti.
La Francia moderna ed emotivamente “fredda” di Seydou Tall si specchia infatti nel calore accogliente e disordinato del Senegal di Yao ricucendo il legame tra passato e presente, tra vecchio e nuovo, ma anche tra reale e illusorio; perché se l’occidente bianco e ricco con le sue tante aspettative e possibilità rappresenta, di fatto, l’illusione di tante vite perfette poi sfumate in famiglie disfatte e in sentimenti soffocati e ostacolati, in esistenze mai del tutto afferrate e realizzate, l’Africa nera di Yao marca invece stretta la radicalità dei valori, la genuinità di un mondo ancora oggi più legato alle persone che alle cose, nutrito da sogni e da un valore del sentimento così profondo che non può essere sradicato quasi da nulla. Un mondo antico ma anche anticamente bello, che vive ancora nel sogno di un bambino con un quaderno sdrucito e mangiucchiato da una capra, fatto di pagine vissute momento per momento e che restituiscono, infine, valore a quello stesso tempo bistrattato e perduto del nostro mondo assai più veloce ed “evoluto”.