L’avvocato del diavolo | 5 motivi per (ri)vedere il film con Al Pacino

l'avvocato del diavolo
lavvocato del diavolo

Il diavolo sta nei dettagli recita un noto modo di dire, e di certo il satanasso deve averci messo lo zampino nella riuscita di questo adattamento per il grande schermo dell’omonimo romanzo pubblicato solo qualche anno prima da Andrew Neiderman.

Siamo nel 1997 e le sale vedono l’uscita de L’avvocato del diavolo, film che caratterizza sin da subito l’attenzione del grande pubblico per via di un cast di assoluta eccellenza che vedeva protagonisti Keanu Reeves e Charlize Theron e un istrionico Al Pacino nei panni del carismatico villain, vero e proprio alpha e omega di un racconto in grado di variare le coordinate base del legal thriller con spruzzate da horror sovrannaturale, finendo così per ampliare il proprio target di riferimento e incassare la notevole cifra di 152 milioni di dollari ai botteghini worldwide. In occasione dell’ennesimo passaggio televisivo, questa sera alle 21 su IRIS, andiamo a elencare cinque punti di forza di un film che vale la pena scoprire o rivedere.

L’avvocato del dialogo | Una storia fuori dai canoni

keanu reeves e al pacino
Keanu Reeves e Al Pacino

La vicenda vede per protagonista il rampante avvocato Kevin Lomax che, pur a dispetto della giovane età, gode già di una notevole fama per non aver mai perso un processo. Pur parzialmente afflitto da dubbi e rimorsi, in quanto molti dei suoi clienti non erano effettivamente innocenti, Kevin è pronto a fare il grande salto di carriera quando viene ingaggiato dallo studio legale facente capo a John Milton, con sede a New York. Il ragazzo si trasferisce così insieme all’amata moglie Mary Ann nella metropoli e fa la conoscenza del suo nuovo boss, il quale sembra trattarlo con inediti favori. Kevin finisce coinvolto in una vita dissoluta e il legame con Mary Ann – che nel frattempo inizia a soffrire di paranoie e allucinazioni – si incrina giorno dopo giorno, fino ad un’incredibile scoperta sulla reale identità del suo nuovo datore di lavoro.

L’Avvocato del Diavolo | Un’atmosfera inquieta

Tra contorsioni narrative che guardano, sia dalla scelta dei nomi, ad un capolavoro della letteratura quale Paradiso perduto di John Milton, a chiare influenze cinematografiche ispirate a grandi classici a tema come Rosemarys’s Baby (1968), le due ore e venti di visione lasciano con il fiato sospeso dall’inizio alla fine, in un progressivo crescendo emotivo che si riempe di sfumature sempre più inquietanti nello scorrere dei convulsi eventi. L’alone mystery che caratterizza la base del racconto offre spunti freschi e originali, fino ad una resa dei conti finale dove il fantastico entra prepotentemente in gioco e regala ulteriori spunti per una potenziale seconda visione. L’epilogo poi insinua un gradevole dubbio su quanto realmente accaduto, indirizzando lo spettatore su differenti vie d’interpretazione.

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L’Avvocato del Diavolo | Una contaminazione ispirata

Le anime di genere convivono magnificamente in un melting pot stilisticamente efficace, nel quale il regista Taylor Hackford – premio Oscar per il miglior cortometraggio e autore di titoli noti come Ufficiale e gentiluomo (1982) e Ray (2004) – trova una perfetta chiave di lettura tra immagini e sensazioni, sfruttando al meglio gli essenziali effetti speciali e innescando un torbido erotismo a sfondo di alcuni passaggi chiave. Un equilibrio messo a rischio dalle vibranti sfuriate della storyline principale, ma tenuto saldamente in mano dal cineasta con una chiara visione d’insieme che permette al film di risultare chiaro e incisivo anche ad uno spettatore meno attento.

L’Avvocato del Diavolo | L’importanza della verità

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Al Pacino

L’avvocato del diavolo sa come e dove colpire in particolar modo nella sua struttura critica e parzialmente satirica, nel quale il mestiere del legale viene messo sul banco degli imputati – in un paradossale e astuto gioco delle parti – in quanto non è la verità a contare ma soltanto quanto venga ritenuto giusto o sbagliato da una giuria. Ecco allora che l’etica diventa elemento fondante delle varie evoluzioni narrative e pone lo stesso protagonista di fronte ai propri sbagli, tra rimorsi e sensi di colpa che lo tallonano fino al giungere dei titoli di coda. Lo stesso escamotage di chiusura diventa ennesimo emblema dell’antitetismo tra vero e falso, in un gioco ancor più sottile e letteralmente diabolico.

L’Avvocato del Diavolo | Un Al Pacino incontenibile

Il leggendario attore, reduce dall’ottantesimo compleanno, si è calato nella parte con una grinta mefistofelica e il personaggio da lui incarnato può tranquillamente essere ricordato come una delle migliori incarnazioni del Male puro mai viste su grande schermo. Al Pacino è qui senza freni, libero di scatenare il suo iconico istrionismo, tanto che in diversi passaggi si ha l’impressione di assistere ad un Tony Montana 2.0 con qualche anno in più sulle spalle e con una diversa consapevolezza, ma carico della stessa rabbia caratterizzante il remake-capolavoro di Brian De Palma. Una performance totalizzante che ruba la scena dall’inizio alla fine e che non si stancherebbe mai di osservare nelle sue luficerine sfumature.

By Maurizio Encari

Appassionato di cinema fin dalla più tenera età, cresciuto coi classici hollywoodiani e indagato, con il trascorrere degli anni, nella realtà cinematografiche più sconosciute e di nicchia. Amante della Settima arte senza limiti di luogo o di tempo, sono attivo nel settore della critica di settore da quasi quindici anni, dopo una precedente esperienza nell'ambito di quella musicale.

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