Prendete due mostri sacri del rock (di diverso stile), rinchiudeteli in uno studio di registrazione per un arco di tempo sufficientemente ragionevole e poi andate a sentire (e a vedere) cosa hanno combinato. Il risultato potrebbe sembrare scontato, ma aldilà dell’impatto travolgente che suscita l’accostamento di nomi celebri, non sempre una fusione di questo tipo risulta essere sinonimo di garanzia. L’esempio concreto è Lulu, album in doppio cd che sfiora l’ora e mezza, nato dalla collaborazione tra il visionario Lou Reed e i leggendari Metallica. Dall’Olimpo del Rock in cui risiedono i due (anzi i cinque) hanno partorito un lavoro paragonabile a due gemelli siamesi, che forzatamente tentano di
coesistere. Lo capiamo dalla primissima Brandenburg Gate in cui Lou viene inseguito dagli accademici del Trash Metal senza però creare un’amalgama dignitosa capace di far decollare il brano. La rincorsa degli uni verso l’altro continua grosso modo per tutto il lavoro, ma del traguardo nemmeno l’ombra, sembra come se il primo singolo estratto The view venisse grosso modo riproposto più volte. Il Vaso di Pandora di Frank Wedekind, a cui è in parte ispirato l’album, risulta inconcretizzabile. Assistiamo ad una spersonalizzazione dei Metallica, lontani dai loro peculiari canoni di genere e al cospetto di un Lou Reed incastrato tra i margini del servizio fornitogli (Pump Blood, Frustration). Nemmeno quando le condizioni sonore paiono più favorevoli come nell’ultimissima e lunghissima (19:29 minuti) Junior Dad i “LouTallica” riescono a complementarsi, come se fossimo dinanzi ad un vulcano che non riesce ad eruttare.
Tra tutte queste litanie elettriche, che a fatica paiono sincere e credibili, la tentazione predominante è quella di andarci a rispolverare i datati ma adorabili Berlin e Ride the lighting.