La più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale” (Amnesty international). 87 feriti, 93 giovani arrestati, per la maggior parte stranieri e 300 poliziotti colpevoli di un massacro agghiacciante per cui soltanto in 29 sono stati chiamati a risponderne davanti alla legge. Una pagina di storia infamante e vergognosa per una democrazia giovane e troppo facilmente incline a dimenticare. Così si presenta Diaz don’t clean up this blood.

E’ un racconto difficile quello ricostruito da Daniele Vicari, un racconto che sviscera in maniera scrupolosa e minimamente finzionale una mole di dati e testimonianze che per quantità è unicamente paragonabile a quella prodotta dai grandi processi di mafia e che permette oggi di rivivere gli avvenimenti terribili, inspiegabili e per ora ancora vergognosamente inspiegati che nella notte del 21 Luglio del 2001 segnarono una delle pagine di cronaca più difficili ed oscure degli ultimi vent’anni. Diaz risveglia la memoria assopita del suo pubblico, con l’intento di portare gli spettatori a riflettere sul senso degli avvenimenti narrati, o meglio ricostruiti, dal momento che persino alcuni dei dialoghi del film, sono stati ripresi dalle testimonianze contenute negli atti processuali o raccolte in fase di lavorazione, sul valore della democrazia e sul significato profondo del vivere in una società  democratica. Non vuole ricostruire teorie Vicari, un film così invecchierebbe subito, piuttosto ci tiene a sottolineare, e toglie per questo ogni riferimento politico, ogni nome che possa riportare ad una vittima precisa o ad un colpevole specifico; ricostruisce gli avvenimenti attraverso un castello di destini incrociati che lega una serie infinita di personaggi senza individuarne un protagonista.

I fatti della Diaz e quelli di Bolzaneto, come raccontato dal regista nel corso della conferenza stampa di Roma, si collegano spontaneamente attraverso l’esperienza vissuta da chi venne privato in maniera sistematica e ordinata della propria dignità, subendo una violenza che ancor prima che fisica fu psicologica. Tra le parole del regista, del produttore e degli attori presenti alla conferenza stampa, ricorre il riferimento a Diaz come un’esperienza umana e lavorativa profonda e formativa. Alessandro Roja, che nel film raccoglie nel suo personaggio una serie di vicende di cui furono nella realtà più agenti a rendersene protagonisti, parla di Diaz con orgoglio nel riconoscersi come parte di un progetto importante, ma anche con vergogna per quanto si trova a raccontare. I due genovesi Davide Iacopini e Ignazio Oliva raccontano di una ferita ancora aperta nel cuore della città, mentre  Jennifer Ulrich, che nel film racconta una delle testimonianze più difficili, quella di Alma Koch, una giovane ragazza tedesca detenuta nel carcere di Bolzaneto, parla dello shock provato nel trovarsi a dar voce ad un’esperienza realmente vissuta e per rendere la quale ha dovuto prepararsi moltissimo, attingendo a tutte quelle ricostruzioni video, audio e fotografiche che continuano a circolare e ad essere accessibili sul web. Tutte dichiarazioni che non sorprendono, ma che anzi rispondono ad una precisa scelta registica, quella di coinvolgere attori che aldilà della loro bravura, sapessero distinguersi per il loro forte coinvolgimento emotivo.

Diaz dunque da voce e rappresentazione cinematografia ad una verità talmente sconvolgente da sovrastare la finzione, una riflessione questa che arriva per stessa ammissione del regista Vicari, che nel corso della conferenza stampa ammette che alcuni dei racconti omessi nella ricostruzione del film erano talmente sconvolgenti da risultare irrappresentabili drammaturgicamente, parla anche dell’incredulità provata, durante la fase di scrittura della pellicola, nel leggere testimonianze incredibili come quella riportata da un ragazzo ripetutamente picchiato con un salame. Episodi scioccanti come le immagini del film, “ si aveva difficoltà a rivederle nel monitor”, racconta Claudio Santamaria, ma Diaz non vuole creare contrapposizioni, litigi, parti avverse; Domenico Procacci racconta,visibilmente dispiaciuto, del rammarico provato dal silenzio ricevuto da parte delle istituzioni e dagli organi di polizia in merito all’uscita del film e alla sua produzione. “Non abbiamo incontrato intralci nella lavorazione”, se non per la ricerca dei finanziatori, per la maggior parter partners stranieri, “ma sto ancora aspettando una interlocuzione con le istituzioni”.  Diaz è stato un film costruito alla luce del sole, il copione, si racconta aneddoticamente, venne depositato da Procacci stesso all’ufficio stampa della polizia senza però ricevere alcune risposta.

E’ del 15 Marzo invece la circolare del ministero dell’Interno che invita i singoli agenti del corpo della polizia italiana a non esprimersi in merito all’uscita delle diverse pellicole cinematografiche che “ affrontano la ricostruzione storica di eventi relativi ad attività di polizia in situazioni ordinarie e straordinarie”. A rispondere in merito è Daniele Vicari, che si augura che il suo film possa essere visto almeno da alcuni di quei 300 mila agenti che compongono il corpo di polizia italiano e che lui stesso considera incapaci di commettere tale barbarie. Una prima risposta in merito arriva, accompagnata da un caloroso applauso,direttamente sul finire della conferenza stampa da parte di un rappresentante sindacale della polizia che ringrazia Vicari per aver realizzato un film che permetterà a molti d’interrogarsi sul tipo di polizia che una democrazia ritiene di voler avere. Diaz don’t clean up this blood verrà proiettato al parlamento europeo il 15 Maggio, un evento importante che prova a colmare il vuoto lasciato in questi undici anni dalla totale mancanza di assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni italiane e sostenuto dal silenzio di tutti quei paesi europei che presero per buona la versione dei fatti italiana, senza protestare, eccezion fatta per l’Austria all’epoca fuori dalla comunità economica europea, per la sospensione dei diritti di cui furono vittime i propri cittadini. Diaz però non propone nessuna tesi politica e se come sostiene Vicari “ il significato di un film sta sulla testa di uno spillo, qui sulla testa dello spillo c’è la sospensione dei diritti civili in un paese democratico”.

(Foto: Aureliano Verità)

INTERVISTA DANIELE VICARI

(Fonte video: LaRepubblica.it)