Dal 10 giugno è arrivata su Netflix Curon, la nuova serie tv italiana ambientata in un suggestivo paese dell’Alto Adige, noto per un campanile del 1500 che sorge nel mezzo di un lago. Fabio Mollo e Lyda Patitucci si alternano alla regia di sette episodi di un’ora l’uno per raccontare una storia che unisce leggenda, dramma, mistery e fantasy. Valeria Bilello è una giovane mamma che si trasferisce a Curon, suo paese natale, con i due figli adolescenti, per fuggire da un marito violento. Vorrebbero costruirsi una nuova vita lontano dal caos di Milano, ma Curon nasconde segreti pericolosi e il tema del doppio è al centro della sceneggiatura, attivando dinamiche thriller horror soprannaturale, molto ambiziose per un prodotto seriale made in Italy.
Dopo Il Sud è Niente e Il Padre d’Italia, Fabio Mollo si misura con una serie tv e abbiamo avuto il piacere di parlare con lui di questo progetto che arriva al pubblico in tempi di pandemia.
Come è andato il periodo di lockdown?
E’ stato un periodo molto confuso, ma mi ha molto colpito il popolo italiano come ha reagito, in modo unitario, con solidarietà. Nonostante tensioni e grandi difficoltà c’è stata collaborazione tra le zone meno colpite e quelle più colpite. Abbiamo subito tutti le conseguenze, lavoratori dello spettacolo e non. Non smetterò mai di ringraziare i medici, i volontari e le forze dell’ordine, ma anche i commessi delle farmacie e dei supermercati che ci hanno permesso di stare a casa e al sicuro. Piano piano stiamo andando avanti e sono contento.
Come sei stato coinvolto in questo progetto?
Mi è arrivata la sceneggiatura per le mani. Gli sceneggiatori capitanati da Ezio Abbate avevano scritto una Bibbia di tutta la serie e sono rimasto colpito. Era tanto tempo che volevo fare un prodotto di genere, sono un grande fan del cinema di genere, soprattutto quando questo unisce una grande attenzione per i personaggi con un approfondimento drammatico. Abbiamo iniziato le riprese 12 mesi fa e ora la serie è già pronta e disponibile su Netflix; è stato un viaggio velocissimo, intenso, difficilissimo, ma anche divertentissimo.
Il paesaggio suggestivo di Curon colpisce molto e fa da cornice a tutta la serie. Sembra un ambiente fantasy e molti lo hanno scoprendo per la prima volta in questi giorni. Pensi che la serie possa aiutare a rivalutare il territorio?
Certo, è molto bello quando succede di riscoprire l’Italia che ha un tesoro paesaggistico e culturale incredibile. Ci sono molti luoghi magari meno noti e meno visti rispetto alle grandi città d’arte che abbiamo, e il cinema e la tv ti permettono di scoprire dei gioielli che abbiamo in Italia. Curon paese, il lago e la valle hanno già un buon turismo, ma sarebbe molto bello se la serie avvicinasse nuovi tipi di turisti.
Che sensazioni hai provato quando sei stato a Curon per la prima volta?
Questo racconto parte proprio dal lago e dal campanile per la creazione del mistero e dell’atmosfera, ma trovarsi lì e vedere il lago per la prima volta è tutta un’altra storia. Ha permesso a me e Lyda Patitucci – che firma la regia con me – di ispirarci e creare un racconto che potesse immergerci letteralmente in questo lago. Ricordo che quando abbiamo fatto i sopralluoghi, nonostante fosse Maggio, improvvisamente ha iniziato a nevicare forte e il paesaggio si è ricoperto di neve e mi ha fatto pensare al fatto che ci sono posti nel mondo dove l’uomo rappresenta una piccolissima parte rispetto alla natura e non può controllarla, ma è giusto così.
Di fatto in Curon abbiamo provato a raccontare la natura in modo nitido, perché i personaggi della serie sono in lotta con loro stessi, con il loro istinto animale, naturale, perché ognuno di noi ha una parte istintiva che cerca di addomesticare, come il lupo di Curon o come il lago stesso che è contenuto da una diga. Indiana e Netflix hanno fatto uno sforzo produttivo molto grande permettendoci di girare sempre nelle location vere. Anche fisicamente è stata dura, perché abbiamo lavorato a 2000 metri di altezza, molto spesso sotto 0, sotto 2 metri di neve, è stato impegnativo. Abbiamo rischiato di congelare qualche attore qua e là.
Come vi siete coordinati per la regia doppia?
In realtà da un punto di vista schematico io ho girato i primi 4 episodi e Lyda gli ultimi 3, ma in fondo abbiamo lavorato gomito a gomito, passamontagna a passamontagna, per tutta la serie. C’è stato uno scambio, una collaborazione… la cosa bella del cinema è anche il lavoro di squadra secondo me. Curon per noi è stata una grande sperimentazione; abbiamo provato a fare qualcosa che in Italia ancora non era stato fatto. Un racconto di genere ma ogni tanto non si prende sul serio, vuole spaventare, incuriosire, creare mistero, ma anche farti sorridere, divertire. L’intrattenimento era la cosa principale.
Hai accennato prima alla natura duale dei personaggi, che si trovano a fare i conti con il loro sosia cattivo. Al cinema è stato spesso affrontato il tema del doppelganger, come in Us di Jordan Peele o in Twin Peaks e il cinema di David Lynch. Vi siete ispirati a qualche film o serie del passato?
Io e Lyda siamo entrambi cinefili e molto nerd. Abbiamo passato giorni a elencare film a tema. Poi certo hai delle references ma poi c’era una velocità da seguire e delle risorse diverse a disposizione. Siamo partiti da Twin Peaks anche per creare questa comunità fatta da pochi personaggi molto caratterizzati e dal paese stesso che, con la sua storia e la sua atmosfera, è forse il vero protagonista. Poi La Donna che visse due Volte di Hitchcock, Us, It Follows, ma anche Lyda stessa spesso cita horror italiano di cui è grande fan. Per me anche Shyamalan con The Village è stato un riferimento.
Come hai lavorato con il cast?
Sono fiero e contento del cast, si è creata una famiglia. A me piace molto lavorare con gli attori, anche alle prime esperienze e in Curon ce ne sono tanti, soprattutto tra i giovani. Poco prima delle riprese abbiamo proprio preso una palestra dove loro hanno fatto delle prove con delle coach. Poi si sono uniti gli adulti, Valeria Bilello, Anna Ferzetti e gli altri e si è creata una squadra affiatata.
Nella serie c’è una forte connotazione religiosa, come nella casa del personaggio di Anna Ferzetti e nei vari rituali che si svolgono nel paese. Cosa puoi dirmi a tale proposito?
Parlando di questa parte nascosta di noi stessa, di questa ombra che tutti noi abbiamo e cerchiamo di addomesticare dal punto di vista morale e psicoanalitico, lo facciamo attraverso la società e la religione. Per reprimere l’istinto animale la religione è uno degli strumenti che l’uomo usa maggiormente. Poi iconograficamente è qualcosa molto vicino alla realtà che stavamo raccontando ed è una realtà che conosco bene personalmente. Sono calabrese e ho avuto un’adolescenza molto vicina alla Chiesa; la religione e i simboli erano un modo per me di capire il comportamento dell’uomo e mi ha fatto piacere ritrovarli e inserirli qui.
Abbiamo incluso anche due santi patroni di Curon che sono di finzione, Cosma e Damiano che sono identici e si specchiano perché ricordavano i gemelli del racconto. Poi io ho un cuore sacro di Gesù tatuato sul polpaccio e anche nei miei film precedenti c’è sempre un richiamo a quella iconografia passionale.
Quali sono stati i problemi con il freddo sul set?
Dopo 10-12 ore nel freddo di notte anche i neuroni si congelano e non lavorano nel modo giusto. Quindi fisicamente ti fa perdere lucidità e ti dà stanchezza e spossatezza, però anche per un attore fisicamente è limitante perché se un attore sta tremando lo vedi in macchina e nella voce. Il cast non si è risparmiato mai, quindi li ringrazio davvero.
Il paesaggio così suggestivo permette di inserire il soprannaturale nel quotidiano.
Io sono cresciuto leggendo Gabriel García Márquez e mi è sempre piaciuto il realismo magico. In fondo il mistery è una forma di realismo magico più dark in un certo senso e per questo nella mia cultura c’è questa visione. La convivenza di chi non è più con noi, credere a figure leggendarie, che non tutto quello che esiste è visibile, fa parte della mia cultura e della letteratura che mi sono nutrito da ragazzo e secondo me il cinema è proprio quella convivenza con le ombre, con un mondo magico fatto di misteri.
Alcuni sosia cattivi hanno un cuore
Sì alcune ombre sono comunque parte di noi e di conseguenza hanno delle emozioni, si innamorano, soffrono, amano, piangono. Non attaccano e basta e l’intenzione era di dare un lato umano anche a loro. Fa parte di questa voglia che dicevo prima di unire al genere la voglia di raccontare l’essere umano.
Netflix e Amazon ci hanno salvato la vita in quarantena, ma molti hanno nostalgia della sala. Cosa ne pensi di questa riapertura dei cinema il 15 giugno?
Io faccio parte di una generazione che è passata dalla pellicola al digitale e negli anni passati abbiamo faticato a trovare spazio per esprimerci ed è bello che ora ci sia più spazio come le piattaforme streaming come Netflix per questa opportunità.
Netflix e gli altri comunque ci terranno compagnia con e senza i cinema aperti; sono due esperienze diverse di fruizione del prodotto, ma si completano, una non esclude l’altra. Ma spero anche io che riaprano i cinema il prima possibile anche perché mi fa strano che sono stati riaperti molti luoghi come luoghi di culto, centri commerciali, negozi, ma non ancora luoghi della cultura. Ci lavorano delle persone e quindi c’è bisogno di riaprirli anche come attività commerciale. L’intrattenimento è cultura: si possono rispettare le regole e riaprire. Prima del lockdown ho visto Volevo Nascondermi, un film bellissimo, ma l’ho visto con le uscite regolamentate, a distanza e quindi si potrebbe fare così.
Come utente Netflix quali serie ti piacciono?
Ho gusti molto eclettici, da Mindhunter a The Crown, Marianne, Chambers, Luna Nera, Summertime, Suburra, mi piacciono molto i documentari seriali e non, ho visto Hollywood di recente perché mi piace Ryan Murphy. Vorrei scoprire di più le serie romantiche, le ho viste poche per casualità.