Dario Argento riceve l’Ulivo d’Oro alla carriera e si racconta

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Dario Argento è il “protagonista del cinema italiano” scelto dal Festival del Cinema Europeo per ricevere l’Ulivo d’Oro alla carriera in occasione della XXI edizione della rassegna diretta da Alberto La Monica, che quest’anno si svolge eccezionalmente online. 

Il maestro del brivido italiano ha raccontato diversi aneddoti sulla sua decennale carriera in una conversazione con Steve Della Casa. Ecco cosa ci ha raccontato. 

Il successo precoce

“Quando da ragazzo studiavo a Parigi, ogni pomeriggio lo passavo alla Cinémathèque française. È lì che è nata la mia passione per il cinema. Vedevo due film al giorno: film muti, quelli dell’espressionismo tedesco. E col tempo l’amore che io ho riversato nel cinema francese, ad esempio nella nouvelle vague, mi è stato restituito. Come spesso accade, sono stati i francesi, quando ancora la critica italiana considerava i miei film commerciali, a scoprire il mio cinema. Ma d’altronde la critica italiana considerava film commerciali anche quelli di Hitchcock, che fu rivalutato solo dopo Frenzy. I francesi, che ci azzeccano sempre, dissero subito: L’uccello dalle piume di cristallo è un film bellissimo”. 

La musica nel cinema di Argento

“Quasi sempre la musica la scelgo prima. Ma è successo anche l’opposto, quando l’atmosfera del film completo mi suggeriva un compositore o un gruppo musicale. Io mi sono molto svagato con la musica. Sono andato ovunque, da Keith Emerson ai Goblin, che hanno inciso il loro primo album con me quando ancora avevano vent’anni, appena usciti dal conservatorio. Quello è un mio grande orgoglio. E ovviamente ho fatto cinque film con il grande Ennio Morricone, che ho conosciuto a casa di Sergio Leone. Lui era amico di mio padre, che lo convinse a lavorare sul mio primo film. La musica de L’uccello dalle piume di cristallo è stata praticamente improvvisata sulle scene che venivano proiettate. Lui all’epoca suonava la tromba. Penso sia una cosa che lui non ha poi più fatto nella sua carriera. Ennio Morricone era sublime”. 

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Le “città immaginarie” dei suoi film

“A differenza di Monicelli, non amo molto i sopralluoghi. Quindi spesso li faccio mentalmente. Nei miei film faccio una composizione. Creo una città immaginaria: un po’ di Roma, un po’ di Milano, poi si gira l’angolo e si è a Torino. Come faceva Antonioni, che io adoro e considero uno dei più grandi cineasti di sempre. Lui pure lavorava in questa maniera, rivoluzionando la toponomastica. 

Le riunioni con Bertolucci e Leone

“Io, Sergio Leone e Bernardo Bertolucci lavoravamo alla sceneggiatura di C’era una volta il West in un bugigattolo. Prima parlavamo di cinema in generale e poi dopo una mezz’ora ci mettevamo al lavoro. Il giorno dopo non ci vedevamo. Ci prendevamo ventiquattro ore di tempo per scrivere autonomamente e poi ci rivedevamo nel bugigattolo per discutere ciò che avevamo prodotto. Era un processo che occupava diversi mesi. Questo nel film si vede, perché è un film complesso, laborioso. Io e Bernardo eravamo dei ragazzini. Lo conquistammo grazie alla nostra spiccata cinefilia”. 

Meglio lavorare in Italia o all’estero?

“Sarò sincero. In America mi sono trovato molto bene. Lì persino i tecnici sono appassionati di cinema. Tutti i membri della troupe sono dei cinefili. Ed è bellissimo lavorare così. Perché sono tutti entusiasti quando c’è da fare qualche inquadratura complessa, elegante, in grado di regalare soddisfazione. Gli europei lavorano molto bene, ad esempio i tedeschi, ma con un distacco maggiore rispetto al proprio lavoro. Non è una cosa che mi dispiace, dal momento che ti lascia più libero”.

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La scelta degli attori

“Mi piace molto prendere un attore e fargli fare qualcosa di diverso da ciò a cui è abituato. In quel modo anche l’attore si sente più stimolato a dare il massimo. Ad esempio con Giuliano Gemma o Harvey Keitel mi sono trovato benissimo. Ogni mattina mi svegliavo presto per andare sul set ed incontrare Keitel. Non vedevo l’ora di parlare con lui delle scene che avremmo girato. Io però ho una grande passione per i personaggi femminili. Un’eredità che mi ha lasciato mia madre, che era una fotografa bravissima specializzata nei ritratti di donne. Ho passato la mia adolescenza osservando come illuminava quei corpi bellissimi”.

Il rapporto con Mario Bava

“Mario Bava lo conoscevo da quando ero bambino. Poi il figlio Lamberto ha fatto l’aiuto regista per me. C’era un rapporto speciale con la famiglia Bava. Andavo spesso a nuotare nella loro villa. Lui fece Schock con Daria Nicolodi, che all’epoca era la mia compagna. Abbiamo sempre parlato di cinema ma non ci eravamo mai trovati insieme sul set fino a quando non mi trovai in difficoltà per gli effetti speciali di Inferno. Lui in questo era fenomenale, perciò gli chiesi un aiuto. Comprò un cristallo immenso, lungo quasi 5 metri e alto altrettanto, con cui realizzare le proiezioni. È stato l’ultimo film a cui ha lavorato”.

By Davide Sette

Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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