Si presenta avvolto in una vestaglia nera dalla fantasia bizzarra e con un accento e le movenze rigide di un uomo d’altri tempi, Barnabas Collins, l’eccentrico vampiro protagonista dell’ultimo film del geniale ed eclettico regista Tim Burton. Dopo aver abbandonato Liverpool assieme ai suoi genitori, nel lontano 1752, Barnabas si ritrova padrone di un vero e proprio impero ittico presso Collinsport, la piccola cittadina del Maine che porta il nome dalla sua illustre ed aristocratica famiglia. Il giovane, facoltoso, affascinante ed estremamente abile nel far perdere la testa alle donne, compie il fatale errore di spezzare il cuore della perfida strega Angelique, un’ ipnotizzante ed entusiasmante Eva Green, che non esiterà per vendetta a trasformarlo in un vampiro, relegandolo ad una lunga prigionia in una cassa da morto, dopo aver ucciso i suoi genitori e la sua amata Joesette (Bella Heathcote).

Al suo risveglio Barnabas si ritrova in un mondo dominato da insegne luminose, colori sgargianti, musica assordante e da oggetti mefistofelici di cui non comprende la funzione, la tv per esempio. E’ il 1972 e nella sua vecchia dimora abita un’eclettica famiglia capitanata da Elizabeth Collins Stoddard, una bravissima ed estremamente convincente Michelle Pfeiffer, discendente di Barnabas, che dopo essere rimasta vedova ha accolto nella magione ormai fatiscente, la sua psichiatra squinternata, interpretata da una Helena Bonham Carter estremamente goffa e appariscente, assieme alla problematica e vagamente hippie Carolyn, sua figlia, e il precoce nipote David. Della vecchia azienda ittica, invece, sono rimasti soltanto i magazzini infestati dai topi e distrutti dal tempo, mentre l’intero mercato è finito nelle mani della perfida Angelique che ha resistito, per merito di un artificio, al trascorrere del tempo con il solo scopo di distruggere Barnabas e la sua famiglia.

I toni cupi e oscuri, caratteristici dei film di Burton, si sposano in maniera assolutamente insolita con quelli fluorescenti e bizzarri del 1972, creando un’alternanza d’ambientazioni, colori e costumi che rappresentano forse uno degli aspetti più riusciti del film. I colori sgargianti e pacchiani degli abiti dei personaggi e quelli gotici che fanno da sfondo alla narrazione e caratterizzano l’aspetto del suo protagonista, vengono sublimati in una delle sequenze più divertenti del film, quella della serata rock organizzata nella dimora fatiscente dei Collins, che tanto ricorda nei suoi interni quella di un’altra celebre famiglia dell’horror comedy americano, gli Addams; un omaggio all’anima più bizzarra di quegli anni che porta il tocco personalissimo di un regista che sembra far ritorno ad una cinematografia sicuramente più affine a quella delle sue origini dark e acutamente sagaci. Con una colonna sonora che sostiene perfettamente l’accurata ricostruzione ambientale di quegli anni e cadenzato da un ritmo esilarante e pungente che rende il film piacevole e divertente ad un pubblico vasto e vario, Tim Burton propone un adattamento tutto personale del serial scritto da Dan Curtis negli anni 60 e che tenne incollati al piccolo schermo migliaia di telespettatori, tra i quali un giovane Burton, già alla scoperta di quell’alternanza di toni e colori con la quale avrebbe nutrito il suo cinema. Nella ricostruzione di tutto quell’universo di personaggi che partecipano alla storia, Burton rincorre il tentativo di costruire un film corale, senza raggiungerlo poi completamente. Sebbene il film riconosca nel personaggio interpretato dall’alter ego di Burton, dalla sua musa ispiratrice Jhonny Depp, il centro della narrazione, gli altri personaggi cercano d’imporsi sulla scena rimanendone però nell’ombra, senza distinguersi sufficientemente. L’idea che rimane è quella di un vuoto narrativo che investe un pò tutti i personaggi e forse non direttamente imputabile alle scelte del regista. Se è vero infatti che la costruzione di un personaggio nei serial televisivi avviene seguendo il ritmo ordinato degli episodi, la narrazione cinematografica richiede spietatamente dei tempi molto più brevi e pieni.

Il personaggio di Barnabas riporta sulla scena, sebbene in maniera molto più smorzata e superficiale degli altri personaggi di Burton, quell’insieme di fragilità emotive che, sovrastate dalla mostruosità dell’ aspetto e dalla violenza, rappresentano la firma chiara e indelebile del regista. In un Barnabas che cerca disperatamente di frenare e contrastare la sua natura mostruosa, si riconosce l’immagine sbiadita di Edward, si riconosce Tim Burton e si riesce ad apprezzare definitivamente un film che senza ombra di dubbio colpisce e fa sorridere, ma soprattuto che involontariamente stravolge un orizzonte narrativo che ricolloca lupi mannari e vampiri nell’horror comedy, lontano dalle storie d’amore nelle quali siamo stati abituati a ritrovarli di recente.

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CLIP DEL FILM

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