Dolor Y Gloria, un puzzle emozionale attraverso le memorie e i colori del passato

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Salvador Mallo (un ottimo Antonio Banderas) è regista di successo, in fase calante e di crisi mistica. Accusa problemi fisici ma, allo stesso tempo, anche una grande instabilità emotiva. E in quella fase di limbo creativo ed esistenziale a riaffiorare preponderanti nella sua mente sono i tanti ricordi, mescolati e confusi, della sua infanzia anni ’60 di povertà a Valencia, del rapporto con la madre Jacinta (Penelope Cruz nella versione giovane), delle prime e ancora acerbe pulsioni amorose, del primo disincanto amoroso vissuto a Madrid, e poi ancora di quella Madrid difficile da vivere ma anche da dimenticare, dei suoi successi come regista e del suo grande e imperituro amore per la scrittura.

Un tempo dunque in cui le reminiscenze tendono ad avere la meglio su tutto il resto, indicando la nostalgia di una vita vissuta nelle sue tante connotazioni emotive ed esistenziali. Un tempo dove il dolore emotivo sembra in qualche modo doppiare quello fisico, generando una serie di sintomatologie corporee che sembrano essere il riflesso di quelle mentali. E nell’idea di recupero di un passato da ritrovare e ricostruire, Mallo inizierà quindi a sentire l’urgenza di mettere nero su bianco quei ricordi e quei tanti personaggi di un passato che appare lontano, e per certi versi anche doloroso, ma che racchiude la bellezza insostituibile di pezzi di vita vissuta, di un mosaico emozionale che non va mai perso ma sempre recuperato.

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L’amore non basta a salvare la persona che si ama

Di nuovo in concorso a Cannes (2019), Pedro Almodóvar torna alle sue corde cinematografiche più care, ovvero sulle orme di una vita vissuta e tutta da ricordare, di sensazioni da far riemergere. Nella sospensione di una rete di memorie fitte e fittamente mescolate tra loro, Almodóvar si sovrappone qui al suo protagonista Salvador Mallo per tratteggiare un racconto altamente autobiografico che attraverso il cinema, la scrittura, l’emozione, e la bellezza del tempo recupera i frangenti migliori e più incisivi della (sua) vita.

Come sempre immerso nella saturazione dei colori, e circondato da quel rosso vivo (rossi gli ambienti, ma anche gli sfondi, e gli oggetti di scena) che è la cifra visiva più riconoscibile del celebre regista spagnolo, Dolor Y Gloria è racconto nostalgico che mescola gioie e dolori dell’essere artista di successo con alle spalle una vita complessa, ma anche ricca proprio di quei tanti colori e sfumature. Facendo leva ancora una volta sulla sua cifra più personale, Almodovàr  insegue infine qui la sua “Addiciòn”, ovvero quell’intrico inscindibile di dipendenze che fanno – sempre – dell’artista un “essere” fortemente  fragile e  dipendente. Dipendente in primis dalla sua arte, e poi da tutto ciò che in qualche modo tenta di colmare un vuoto a volte incolmabile, di riempire uno spazio esistenziale che spesso appare pieno di buchi.

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Con Dolor Y Gloria Almodóvar racconta e disegna l’amore nelle sue sfaccettature più diverse (dalle pulsioni sessuali agli affetti più radicati passando per le passioni) e lo mette in scena evidenziandone le grandissime potenzialità ma anche le tante limitazioni. Perché, infine, l’amore può tanto ma non “basta a salvare la persona che si ama”.

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4 Punteggio
Riepilogo Recensione
In concorso a Cannes 2019, Pedro Almodóvar presenta Dolor Y Gloria, racconto nostalgico e “colorato” sui dolori e sui successi. Un’opera molto calda e personale che ritrova la cifra più intimista del regista spagnolo, costruendo una panoramica emozionale della vita dell’artista e delle tante emozioni che la nutrono. 
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

By Elena Pedoto

In me la passione per il cinema non è stata fulminea, ma è cresciuta nel tempo, diventando però da un certo punto in poi una compagna di viaggio a dir poco irrinunciabile. Harry ti presento Sally e Quattro matrimoni e un funerale sono da sempre i miei due capisaldi in fatto di cinema (lato commedia), anche se poi – crescendo e “maturando” – mi sono avvicinata sempre di più e con più convinzione al cinema d’autore cosiddetto di “nicchia”, tanto che oggi scalpito letteralmente nell’attesa di vedere ai Festival (toglietemi tutto ma non il mio Cannes) un nuovo film francese, russo, rumeno, iraniano, turco… Lo so, non sono proprio gusti adatti ad ogni palato, ma con il tempo (diciamo pure vecchiaia) si impara anche ad amare il fatto di poter essere una voce fuori dal coro...

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