Tommaso (Valerio Mastandrea) e Giuliano (Marco Giallini) sono romani, amici da trent’anni, diversi ma profondamente legati. Tommaso si è trasferito da tempo in Canada, in una località sconosciuta e semi-impronunciabile dove insegna robotica e ha una moglie che ama. E ha abbracciato appieno, o quasi, quella vita remota, lontana dalla sua città natia e resa ancora più lontana dalla paura di volare. Giuliano, invece, è rimasto sempre a Roma, fermo nella sua ‘romanità’, e fa l’attore. Seduttore per istinto e vocazione, quella di Giuliano è una vita estremamente dinamica vissuta tutta tra teatro (attualmente in scena come il subdolo visconte Valmont de Le relazioni pericolose), donne, e il suo amatissimo cane Pato (la bravissima e bellissima quattro zampe Nike). Eppure, l’estrema vitalità dell’uomo è stata messa a dura prova dalla diagnosi di una malattia senza possibilità di guarigione. Così, in un lungo week end di passaggio, tra l’ansia di trovare un futuro e devoto padrone per Pato e la necessità di vivere il tempo che resta, Giuliano trascorrerà quattro giorni di svago e ricordo insieme al suo amico Tommaso, tornato a Roma con il preciso intento di dire addio all’amico di sempre.
“Se un amico non mi invita al suo compleanno non importa, ma se non condivide con me un grande dolore allora mi offendo” (Oscar Wilde). Remake dell’apprezzato film spagnolo/argentino Truman (2015), Domani è un altro giorno di Simone Spada (Hotel Gagarin) rilegge il tema dell’amicizia alla luce della separazione definitiva, ovvero la morte che si annuncia drammatica e ineluttabile, spesso senza nemmeno dare grande preavviso. All’interno di una dinamica amicale che scava nel senso dei legami e nella diversa capacità di ognuno di incarnarli e manifestarli (l’amica Paola si aggrappa all’idea di tenere in vita l’amico il più possibile, mentre Tommaso ne rispetta la volontà di abbracciare il suo destino), Domani è un altro giorno si ritaglia il tempo di vivere appieno gli ultimi fuochi di una sintonia e di una complicità che vanno oltre lo spazio (la distanza tra la Roma Di Giuliano e la cittadina canadese dove vive Tommaso) e il tempo (anche quello definitivo e indeterminato della dipartita).
Valerio Mastandrea e Marco Giallini duettano con capacità oramai assodate nei panni di questi due amici diversi e incostanti (quando non addirittura scostanti), lontani ma anche profondamente complici e uniti; amici ai quali basta un breve sguardo o un monosillabo per intendersi. Ma la loro solidarietà amicale si manifesta poi anche attraverso gli altri componenti di questa sorta di tempo-limbo di quattro giorni sospeso tra la gioia di vita e la paura di morte: l’amica Paola, e il cane Pato. Le esistenze di Tommaso e Giuliano ruotano infatti anche attorno a queste presenze di “raccordo” a loro modo estremamente incisive, utili anche a determinare e ritrovare lo spazio di quell’affetto necessario a dirsi addio. Amare la vita accettandone anche la Fine – tanto reale quanto metaforica – è ciò che i due amici, insieme, dovranno fare, affrontando ogni formalità e intimo pensiero di quell’ultimo incombente saluto. Negli sguardi, nei gesti e nei piccoli elementi dell’estemporaneo, Spada cerca di ricostruire l’anima di un’amicizia profonda ma sincera, sigillata nel cuore di un imminente lutto e di un amico a quattro zampe da affidare.
L’emotività del racconto vive alcuni momenti di estrema lucidità (come l’ultima cena tra i tre amici o le occhiate complici a poche ore dall’addio) pur non riuscendo a mantenere sempre lo stesso grado di profondità. Le prove attoriali (bravissima anche Anna Ferzetti nei Panni di Paola) sopperiscono ad alcune lacune di scrittura consentendo al film di trovare in qualche modo una sua strada e una sua forza emotiva, che a conti fatti restano comunque inferiori a quelle del ben più toccante lavoro originale.