Il regista Pierfrancesco Diliberto, noto come al pubblico come Pif è tornato dietro la macchina da presa dopo il successo In guerra per amore del 2016. Il titolo scelto per il terzo lungometraggio, E noi come stronzi rimanemmo a guardare si è rivelato terreno fertile per discussioni riguardanti il rapporto che ognuno di noi ha con la tecnologia e le condizioni lavorative degli italiani. A condividere questo viaggio cinematografico, nei cinema il 25-26-27 ottobre, insieme a Pif ci sono Fabio De Luigi, Ilenia Pastorelli e Valeria Solarino.
La trama del film E noi come stronzi rimanemmo a guardare
In un mondo dove i social hanno il controllo delle nostre vite, non c’è da stupirsi nello scoprire che un algoritmo decida di assumere una persona in base all’età, ignorandone gli anni di esperienza. Parole come reputazione e posizione, una volta erano associati alla conoscenza tra persone che erano solite guardarsi negli occhi per comunicare. Ora questi termini hanno subito una mutazione, legata al mondo della tecnologia, riducendo tutto a degli algoritmi predefiniti.
Questa nuova condizione sociale la conosce bene il povero Arturo (Fabio De Luigi) un manager con grande esperienza che di punto in bianco viene licenziato alla ‘veneranda’ età di 48 anni proprio a causa di un algoritmo. Peccato che ad averlo introdotto nell’azienda sia stato proprio lui, per cercare di evitare sprechi economici e cacciare via le persone più anziane e quindi meno utili.
La necessità di avere uno stipendio fisso per vivere dopo aver tentato di inviare curriculum in ogni dove, alla fine si vedrà costretto ad accettare l’offerta della società Fuuber. Convinto si trattasse di un impiego simile al precedente, al termine del colloquio scoprirà di essere stato assunto come rider. Questo vuol dire, paga misera, orari disumani, consegne da effettuare rigorosamente in bicicletta con uno zaino quadrato sulle spalle e un orologio al polso. Regola base: accettare gli ordini e portarli nel tempo prestabilito per acquisire feedback positivi.
In una situazione di profonda tristezza e solitudine, causalmente arriva nella sua vita Raffaello (Pif). Un professore di filologia romanza, che per arrotondare svolge il lavoro di hater o lover a seconda delle commissioni sui social. Entrambi single e in cerca di compagnia, decidono di scaricare un app dell’azienda Fuuber, in grado di far palesare l’ anima gemella. Unico inconveniente? La persona in questione sarà un ologramma con la o il quale poter dialogare e andare in giro ma senza avere la possibilità di toccarsi.
Nella vita di Arturo entrerà come un uragano la dolce Stella (Ilenia Pastorelli), con la quale inizierà un rapporto di amicizia sempre più intenso. Nonostante i problemi sul lavoro, Stella riesce a dargli un motivo per sorridere e per vedere il mondo con occhi diversi. Ben presto però, questa felicità lascerà il posto alla disperazione, quando scadrà il periodo di prova gratuita dell’applicazione. Il costo esoso per riavere Stella nella sua vita, lo porterà a trovare una strada alternativa, dove gli algoritmi non hanno voce in capitolo quando si parla di amore.
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La recensione di E noi come stronzi rimanemmo a guardare
Il terzo lungometraggio diretto da Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, fa riflettere sotto molti punti di vista ma senza perdere il sorriso. Da anni il connubio uomo e tecnologia è al centro di molte discussioni, soprattutto per l’utilizzo dei social. Siamo arrivati in un momento storico dove non è ben chiaro se siamo noi a comandare la tecnologia o sia lei a condizionare la nostra esistenza. Chiaramente, se dovessimo rispondere a questa domanda, tenendo conto della storia narrata nel film, risulta ovvia la risposta: la tecnologia governa le nostre scelte e la nostra vita.
Come è possibile decidere se sia giusto stare con una persona, in base al risultato di un algoritmo? Dove sono finite le emozioni, le farfalle nello stomaco? Dov’è finito il cuore? La vicenda accaduta ad Arturo, a partire dal trovarsi senza un lavoro a 48 anni (età fuori mercato in Italia nonostante le potenzialità), alla scelta della fidanzata Lisa di lasciarlo a causa di un test negativo sull’affinità di coppia e il lavoro precario come rider, rappresentano la fotografia di molti italiani che vivono una realtà del genere.
La coppia De Luigi – Pif funziona molto bene. Il loro continuo scambio di battute porta allegria alla storia, strappando spesso risate di gusto. Si percepisce quanto sia stato fondamentale scrivere una sceneggiatura che non lasciasse spazio all’improvvisazione e che affrontasse temi importanti come la disoccupazione in età avanzata. Tutte le vicende si incastrano magnificamente, come fossero parte di un grande puzzle. Simpatica e ben inserita nella narrazione, anche Ilenia Pastorelli nel ruolo di Stella, ologramma che per la prima volta inizia a provare dei sentimenti per un cliente che esiste realmente.
Geniale l’idea di scegliere un titolo che potesse dirci in poche parole quello che stiamo facendo ormai da molto tempo: E noi come stronzi rimanemmo a guardare. Qui stiamo parlando di un film, di finzione, qualcuno ha azzardato di fantascienza, ma per me di finto e surreale c’è ben poco. La passività con la quale vediamo svolgere gli eventi senza battere ciglio, senza prendere il coraggio di ribellarci a condizioni che non ci stanno bene, ci porta solo a parlare, a guardare e a restare fermi.
Arturo è un eroe nel suo piccolo, nonostante le continue battute di arresto, ha saputo prendere forza dalle sue debolezze. Chi ha detto che il principe azzurro debba avere per forza l’armatura e il cavallo bianco? In questo caso è bastata una felpa arancione, pantaloncini blu, uno zaino quadrato con le lucette e una bicicletta per salvare la principessa dalla torre. Arturo dimostra che arrendersi ai poteri più grandi non è la scelta giusta, anche se la più facile.
La follia che Jobs citò in un famoso discorso per incentivare i giovani ad essere più intraprendenti nella vita, ora si può rintracciare nei poveri lavoratori costretti ad accettare proposte folli e con stipendi imbarazzanti di avere qualche soldo in tasca. La caparbietà di Arturo nonostante si sia messo contro un sistema che tenta continuamente di schiacciarlo, ha dimostrato che non si deve mai smettere di credere nell’amore. A lui non gli frega niente degli algoritmi, di seguire le regole e di perdere quel minimo di stipendio. Di fronte all’amore non c’è algoritmo che tenga.