Festa del Cinema di Roma 2017: In un giorno la fine, lo “zombie movie” italiano prodotto dai Manetti

Da qualche anno a questa parte si parla sempre più spesso di “rinascita del cinema italiano”, ovvero di una mutata concezione della produzione nostrana sia da parte di chi dovrebbe finanziare i progetti, sempre più incline a prendersi dei rischi, sia da parte del pubblico, che attraverso il passa parola si è dimostrato capace di portare al successo opere fuori dagli schemi più classici. Alla Festa del Cinema di Roma 2017 arriva la coppia di registi che più di altri hanno smosso le acque cercando di affermare il principio che non “esiste cinema di serie A e di serie B”: i fratelli Manetti.

I due, reduci dalla presentazione a Venezia (per la prima volta in concorso) del loro Ammore e Malavita, vestono ora il ruolo di produttori di In un giorno la fine, opera prima di Daniele Misischia. Il giovane film-maker romano si è fatto le ossa con alcune autoproduzioni del sottobosco cinematografico italiano e si è formato proprio sul set dei due fratelli di Zora la vampira. Non è quindi un caso se la sfida di questo zombie movie sia proprio la stessa del cinema dei Manetti Bros: portare il “genere” (definizione che loro stessi non amano) dalla serie B alla considerazione di cui gode il cinema di autore.

Serie A o serie B ?

Lo zombie movie di Misischia in questo senso rappresenta già una grande conquista per la nostra industria, dal momento che godrà di una vasta distribuzione in un numero considerevole di copie. Una cosa che forse non sarebbe stata possibile sino a tre anni fa e che si spera possa convincere le grandi produzioni ad abbandonare una visione miope che non si accorge che proprio il genere che si fa meno nel nostro Paese, l’horror, è quello che regolarmente domina il box office domestico (in maniera anche più marcata che in altre nazioni). In un giorno la fine ha il cuore in quel tipo di cinema da “videocassetta”, ne sfrutta il linguaggio ed i suoi codici, ma una realizzazione tecnica in grado di mascherare le mancanze di budget e di rendere il lungometraggio cinematograficamente molto più riuscito di altre produzioni nostrane di tutt’altra ambizione.

Il regista romano crea la tensione attraverso gli stratagemmi che sono propri di quel tipo di cinema, con le cadute improvvise e gli errori ingenui dei protagonisti che li espongono a pericoli gravissimi, eppure la sceneggiatura manca di quel pizzico di coraggio che sarebbe bastato ad elevare In un giorno la fine da un esercizio (per quanto curato e sapientemente orchestrato) di riproposizione di cliché già noti ad uno zombie movie con una propria anima ben definita. Sembra infatti che il solo elemento davvero distintivo di questa operazione sia la sua ambientazione claustrofobica e se gli snodi narrativi sono quelli che già conosciamo da tempo (l’amico infetto che deve essere ucciso, gli istinti suicidi del protagonista ecc.) non c’è modo di salvarsi dall’effetto deja-vu.

Veste impeccabile per script poco originale 

Certamente interessante è come invece viene costruita la suspance nella parte iniziale del film, quando ancora i personaggi devono capire cosa stia davvero succedendo, con una serie di riferimenti al terrorismo che rendono in maniera efficace su schermo la nevrosi del nostro tempo (alla stessa identica maniera comincia il recente El Bar di Alex de la Iglesia). Alessandro Roja è sempre credibile anche nei momenti in cui la sceneggiatura cede il passo a dei dialoghi davvero poco naturali e regge bene l’impresa non facile di portare sulle proprie spalle quasi tutta la narrazione.

Se da una parte questo In un giorno la fine rappresenta un evento quasi miracoloso per il nostro cinema, sia per quello che concerne l’aspetto distributivo che per la realizzazione tecnica curata ed adeguata al racconto, dall’altro lascia l’amaro in bocca nel suo dimostrare “soltanto” che gli italiani possono fare bene questo tipo di cinema ma non che possono farlo in maniera migliore o quantomeno diversa. Questa speranza non è ancora persa ed attendiamo Misischia al suo prossimo progetto.