Woody Allen torna in grande forma a Venezia per il suo 50esimo film da regista, il primo recitato interamente in francese. Amori, inganni, violenza ma – su tutto – la riflessione sulla strana comicità del fato e la pericolosità di chi pensa che il caso si possa in qualche modo contenere.
Non è sicuramente un “Coup de chance” quello di Woody Allen, che al suo cinquantesimo film da regista (il primo recitato interamente in francese) firma uno stranissimo e bellissimo polar travestito da commedia, con alcuni dei personaggi -maschili – più detestabili della sua filmografia, che con le loro ossessioni, manie di controllo e di possesso, trascinano di tanto in tanto la narrazione, ovviamente godibilissima e sinuosa, sui toni più cupi di Match Point.
Elementi di inquietudine come improvvisi tagli di luce (quelli di Storaro) cambiano la temperatura del film, mettono in crisi i due giovani amanti che si ritrovano dopo gli anni del liceo, stavolta lontanissimi dalle nevrosi tipiche di Allen, ma invece felicemente innamorati e genuinamente bohémien, appagati dalle loro passeggiate e dai loro pranzi sulle panchine di Parigi.
A differenza di suoi colleghi e coetanei come Polanski e Friedkin, che nell’ultimo periodo della carriera si sono rifugiati negli spazi chiusi del teatro – sistemi chiusi, modellini in scala su cui è più “facile” avere presa ferma – il cinema di Allen ha oggi più che mai bisogno di respirare, di correre en plein air e di seguire gioiosamente i suoi protagonisti in questo finto thriller in cui tutti i passaggi di trama indispensabili al genere (indagini, omicidi, occultamento delle prove) vengono risolti in maniera velocissima e senza alcuno sforzo.
Questione di fortuna
Tutto procede a grandissimi passi fino a quando un ultimo, geniale, “coup de chance” riconsegna lo spettatore alla volatilità dell’esistenza umana: più triste, più solo, più spaventato, ma con una consapevolezza in più. Che la volontà, come già sosteneva Hume, è solo una sensazione, nient’altro che l’impressione che proviamo dentro di noi, e di cui siamo consapevoli, quando deliberatamente produciamo un nuovo movimento nello spazio.
È la volontà, l’illusione del controllo, che Allen amplifica con una regia mai così dinamica, in grado di trasmettere l’idea che tutto il vigore e l’eccitazione della nostra vita volontaria dipendano dalla nostra sensazione che le cose si decidano realmente da un momento all’altro, nel tempo di un “colpo”.