Luc Besson torna dietro la macchina da presa con uno dei film più bizzarri della sua già variegata carriera: uno strano thriller, a tratti revenge movie a tratti heist movie, che gioca con più registri narrativi, passando abilmente dal dramma a tinte nerissime all’umorismo più leggero.
Al centro del nuovo film di Besson, tornato al cinema dopo essere stato scagionato dalle accuse di molestie, c’è uno straordinario Caleb Landry-Jones, ovvero il “dogman” del titolo, sempre in compagnia del suo assortito gruppo di cani, gli unici animali in grado di offrire agli uomini le sole due cose che davvero contano nella vita: amore e protezione. Due cose che Douglas – detto Doug (una “u” di troppo rispetto “dog” e “God”, ma la radice è sempre lì) – non ha mai provato e che almeno cerca di garantire agli altri.
Il confronto in cella tra il protagonista e la psichiatra Evelyn (Jojo. T Gibbs), anche lei alle prese con una situazione famigliare tutt’altro che serena, apre ai lunghi flashback che spiegano chi sia in realtà quel ragazzo che abbiamo incontrato nei primi minuti del film in una notte di pioggia nel New Jersey alla guida un camion pieno di cani prima di essere arrestato dalla polizia.
Gettato da bimbo per punizione, e per il troppo amore verso gli animali, dall’orrido e violento padre nella gabbia in cortile, dove il genitore teneva in uno stato ripugnante decine di bestiole, Douglas dopo molte settimane riesce ad evadere, a vendicarsi, e a ricostruirsi una vita in solitaria assieme a decine e decine di cani che lo proteggono e lo adorano.
Il ragazzo però, proprio a causa della violenza del padre, è finito su una sedia a rotelle e non può rimanere in piedi se non per pochi minuti con il rischio di una lesione letale al midollo spinale. Personaggio borderline, freak frankensteinano più simile ad Edward mani di forbice che a Joker di Phoenix (con cui inevitabilmente sarà paragonato), indossa tutori rigidissimi alle gambe e sbarca il lunario una sera a settimana cantando truccato da donna in un locale di drag queen.
Il cuore di Dogman batte quindi per gli ultimi e dei reietti, cristallizzando una visione politica dirompente e vendicativa dal basso verso l’alto. Besson, che il film l’ha anche scritto, fa sfoggio di una tecnica sopraffina a livello compositivo e ritmico che trascina lo spettatore come ai bei tempi di Leon e Nikita, specialmente nelle magistrali sequenze di rapina orchestrate da questa improbabile quanto efficacissima banda di cani.