A Venezia 80 presentato in anteprima The Wonderful Story of Henry Sugar, il cortometraggio di 40 minuti di Wes Anderson. Lo abbiamo visto ed ecco cosa ne pensiamo.
Il nuovo progetto scritto, diretto e co-prodotto da Wes Anderson è stato presentato il 31 agosto fuori concorso al Festival di Venezia 80esima edizione. Questo cortometraggio di 40 minuti verrà distribuito in tutto il mondo da Netflix sulla propria piattaforma il 27 settembre.
Tratto dall’omonimo racconto di Roald Dahl questo short film racconta di un uomo benestante che conosce un signore in grado di vedere senza usare gli occhi e decide così di imparare l’arte per imbrogliare nel gioco d’azzardo.
The wonderful story of Henry Sugar: oltre l’estetica?
Ormai è sempre più certo, Anderson si avvia verso un percorso intriso di perfezione estetica, ma in cui non c’è spazio per molto altro. Affidandosi a un misto di commedia e avventura questa volta concentra le sue forze nel riadattare un’opera del famoso scrittore Roald Dahl, perdendosi però nel processo narrativo.
Troppo dilatato, troppo frenetico, troppo pieno di dialoghi incastrati che stridono, entrando in collisione tra loro.
Non c’è tregua alcuna, nessuno prende mai fiato, è una corsa senza fermate verso un’inesorabile mancanza di incisività. Già in passato aveva rielaborato sottoforma di film un racconto di Dahl, attraverso il magico Fantastic Mr. Fox (2009). Ecco non siamo di certo a quei livelli, decisamente no.
Bella cornice, ma il contenuto non pervenuto
Non memorabile e dal coinvolgimento contrastante, di certo non è privo dell’iconica identità di un regista, che ancora una volta non demorde nel proporre il suo stile eccentrico e colorato. Scenografie a scomparsa, costumi perfetti, inquadrature pennellate con la grazia di un maestro e una minuziosa attenzione artistica, confezionano un gioiellino visivo che soddisfa ed esalta gli occhi.
Il cast corale alimentato da grandiose prove attoriali si sprigiona in tutto il suo potenziale, grazie ad un montaggio precisissimo che chiude dunque un altro lavoro Andersoniano, che come i suoi recenti Asteroid City e The French Dispatch, convince per la forma ma non per la sostanza.