Venezia 72 – Beasts of No Nation, la recensione del film di Cary Fukunaga

“Se mai questa guerra dovesse finire, tornerei il bambino di una volta?”

Queste sono solo alcune delle strazianti parole dette da Agu nell’emozionante Beasts of No Nation di Cary Fukunaga, l’atteso prodotto targato Netflix che il regista di True Detective ha presentato in concorso alla 72° edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Basato sull’omonimo romanzo di Uzodinma Iweala, il film racconta la tragica storia di Agu, un bambino di nove anni che, dopo aver assistito al brutale omicidio del padre e del fratello, si ritrova a diventare un soldato alla mercé di un Comandante (Idris Elba) cinico e crudele. Una storia difficile da leggere ed ancor più dura da vedere che Fukunaga porta sul grande schermo attraverso un film che è un vero e proprio pugno nello stomaco. Le teste mozzate, gli abusi sessuali e le esecuzioni a sangue freddo raccontate nel romanzo di Iweala prendono vita attraverso un’opera in cui la violenza viene utilizzata come chiave per rappresentare la lenta ed inevitabile discesa di Agu in una realtà dalla quale è impossibile scappare. La contrapposizione tra la prima e l’ultima scena mette a confronto la spensieratezza, l’intelligenza e la creatività di un ragazzino con la freddezza, la durezza ed il cinismo di una persona cambiata dalle esperienze che ha vissuto. Esperienze terribili che continueranno a coinvolgere migliaia di giovani innocenti costretti a compiere orrori indescrivibili per sopravvivere.

Orrori che Fukunaga mette in scena attraverso un approccio realistico, colorato solo da guizzi registici volti a smorzare l’intenso ritmo della pellicola. Ed il risultato è, almeno finora, il miglior film di questa edizione della Mostra del Cinema di Venezia. L’eleganza stilistica, le ottime interpretazioni di Idris Elba e Abraham Attah e la regia a fuoco e mai sopra le righe di Fukunaga sono  elementi vincenti di un’opera che convince dal primo all’ultimo minuto di proiezione.  Il regista di Sin Nombre riesce infatti a sconvolgere lo spettatore non solo attraverso la violenza esplicita, ma anche attraverso l’implicito orrore di un piano sequenza come quello dell’abuso che svela tutto senza mostrare niente. Il dolore è palpabile e ci svela quanto sotto la scorza della civilizzazione si nasconda un’indomabile natura animale che ci rende bestie senza patria. Bestie a cui però Fukunaga, attraverso un finale che strizza l’occhio a I 400 colpi di Truffaut, lascia la difficile ma non impossibile speranza di dimenticare ed avere così un futuro migliore.

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