Frida – Viva la Vida, l’arte che nasce dal tormento del corpo

Se c’è una cosa che Frida – Viva la Vida, nuovo documentario di Giovanni Troilo, capisce benissimo, è che le opere della pittrice messicana sono frutto innanzitutto di un tormento fisico, corporeo, quindi esteriore, visibile, e solo successivamente interiore. Opere come Lo que el agua me dio, in cui Frida mostrava i suoi piedi malati specchiarsi nell’acqua della vasca, o l’indagine anatomico-surrealista de Le due Frida (entrambi i quadri sono analizzati nel documentario), spiegano bene come l’attaccamento alla vita della pittrice, già discusso nel bellissimo libro Le Disobbedienti di Elisabetta Rasy, sia stato lo strumento attraverso il quale combattere la sofferenza fisica e il deperimento del proprio corpo. Tutto questo è sintetizzato benissimo da Troilo in una scena emblematica, quando la fotografa Graciela Iturbide mostra allo spettatore le immagini in bianco e nero scattate da Frida nel suo bagno, ovvero il luogo del dolore in cui si consumava il “martirio” del corpo, con busti, gessi e protesi (quella della sua gamba, che le fu asportata qualche anno prima della sua morte). Quella stanza della casa è stata per anni chiusa al pubblico e resa visitabile solo di recente. Una “collettivizzazione” di quel dolore così personale che il documentario di Troilo riesce a cavalcare senza auto-compiacimento.

L’indagine biografica della pittrice ricorda per certi versi quella “noir” del film animato Loving Vincent, nutrendosi, come quella dell’investigatore (suo malgrado) Armand Roulin, delle credenze popolari e delle leggende. Per farlo Troilo utilizza tutti gli strumenti cinematografici a sua disposizione: interviste esclusive, documenti d’epoca, ricostruzioni suggestive e opere della stessa pittrice, dando voce alle testimonianze di chi l’ha conosciuta per ragioni personali o professionali. Il ritratto che ne esce fuori è quello di una donna che, nonostante il dolore, causato prima dalla poliomielite e poi dall’incidente che la rese invalida all’età di 18 anni, ha vissuto un’esistenza fatta di emozioni e sentimenti mai annacquati o attenuati, sempre portati fino all’estremo delle loro conseguenze (felici e drammatiche).

Frida – Viva la Vida è quindi un documentario di sofferenze ma anche di amori travolgenti, di passioni (private e pubbliche) che hanno determinato le scelte della pittrice messicana. Frida Kahlo, come le altre “disobbedienti” della Rasy, ovvero Artemisia Gentileschi, Elisabeth Vigée Le Brun, Berthe Morisot e Suzanne Valadon, sembra non poter rinunciare all’autoritratto, che utilizza come strumento di “constatazione” di sé. Per rivendicare la propria immagine di donna e reagire così alla prepotenza del mondo circostante.