Due euro l’ora,
il film di Andrea D’Ambrosio con Peppe Servillo e Chiara Baffi di passaggio al Giffoni Film Festival nella sezione Parental Control, si preannunciava come un film di denuncia: del lavoro nero al di fuori di ogni controllo di sicurezza, dell’omertà, dell’incoscienza e del bisogno economico che opprimono intere comunità nel cuore di un’Italia che sembra inesorabilmente piccola, isolata e soffocata. Il film è tutto questo, e centra il suo obiettivo anche perché racconta una storia bella e drammatica d’amore e di amicizia.
D’Ambrosio, profondamente toccato dalla tragica vicenda dell’incendio della fabbrica clandestina di materassi nel Salernitano dove nel luglio 2006 morirono soffocate due operaie, Giovanna Curcio di soli quindici anni e Maria Mercadante, per la prima volta abbandona il genere del documentario e con Donata Carelli scrive una storia di fiction ambientata nel piccolo centro di Montemarano in Irpinia. Peppe Servillo è Enzo Blasi, l’arrogante e spietato padrone di una sartoria abusiva, dove cinque donne lavorano in un seminterrato insicuro per due euro l’ora, vessate e ricattate, eppure grate di avere quell’occupazione in una realtà che appare priva di alternative. Gladys (Chiara Baffi), immigrata di ritorno dal Venezuela, una donna nubile e innamorata della vita, stringe un’amicizia speciale con la giovanissima Rosa (Alessandra Mascarucci), che ha lasciato di nascosto la scuola per guadagnare il denaro necessario a raggiungere il fidanzato emigrato in Svizzera.
Grazie alla relazione con Aldo (Paolo Gasparini), Gladys comincerà a mettere in discussione la tracotanza di Blasi, ma neanche la sua denuncia alle autorità riuscirà a spezzare la catena drammatica di circostanze che lega i personaggi. L’ammiccante connivenza dei carabinieri che si bevono la tazzulella’e cafè offerta dal padrone, la crisi che morde, il licenziamento del padre di Rosa, un camionista retto, onesto e così sfinito dal lavoro da non avere le forze per seguire la figlia, congiurano per spingere di nuovo le protagoniste in quell’orribile e pericoloso seminterrato. Servillo, con una smorfia sprezzante perennemente dipinta sul volto, incarna il modello di un italiano convinto della propria assoluta impunità, incurante di ogni regola, prevaricatore e avido, che sopravvive sempre, grazie alla paura, al silenzio complice, all’insicurezza delle sue vittime e dei tanti che scelgono di non vedere. Chiara Baffi (che per questo ruolo è stata premiata al festival di Bari come Miglior attrice) gli contrappone il volto di una donna ancora capace di credere e di sperare, e che preferisce ridere per non annegare nelle lacrime.
“Don Luigi Ciotti dice che tutti noi abbiamo bisogno e diritto alla rabbia e questo è il mio personale modo di esprimere la rabbia che provo, perché è stata la nostra indifferenza ad uccidere Giovanna Curcio”, ci ha raccontato il regista, con la voce rotta per la commozione.
“Questo film parla di Sud, di lavoro, ma anche di amore, di adolescenza, di padri e figli. E’ stato presente soltanto un mese nelle sale, in una ventina di copie, ma ora sta girando l’Italia per numerosi festival ed eventi, con grande affluenza di pubblico. Ha appena vinto il Bari International Film Festival, sarà presente a Libero Cinema in Libera Terra (il festival itinerante legato a Libera, che porta i film nei luoghi confiscati alla mafia), e poi andrà al Festival di Annecy in Francia. Il pubblico italiano, se ha la possibilità di vedere qualcosa di intelligente, ci va.” Il Giffoni Film Festival, con il suo pubblico di giovanissimi, è un contenitore ideale per questo film, che sprona alla consapevolezza dei diritti e al rispetto di sé e degli altri, basi ineludibili della legalità e della società civile. D’Ambrosio, abbandonato il genere del documentario con cui aveva anche vinto il Nastro D’Argento per Biutiful Cauntri nel 2008 , ha scelto la finzione per raggiungere con maggiore efficacia gli spettatori, coinvolgendoli in una storia di solidarietà ed amicizia che si spera contribuisca a spezzare una bolla di complice silenzio che ferisce il nostro paese tanto quanto l’illegalità.