Green Border, la recensione: un film complesso, un tema politico cruciale

Agnieszka Holland mette magistralmente in scena la crisi migratoria al confine tra Polonia e Bielorussia in tutta la sua complessità.

Green Border, la recensione: un film complesso, un tema politico cruciale
3.8 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

È uno dei dilemmi geopolitici più complicati degli ultimi anni. Nel 2021, il presidente bielorusso Alexander Lukashenko decise di concedere ai rifugiati in fuga dal Medio Oriente e dall’Africa il libero passaggio verso la Bielorussia per raggiungere l’Europa. Spinte verso il confine polacco-bielorusso, migliaia di persone ebbero così la possibilità di arrivare in Polonia e quindi nell’Unione Europea e nell’area Schengen.

Lungi dall’essere il risultato di una politica favorevole all’immigrazione, l’obiettivo di questo stratagemma politico era invece quello di sovraccaricare e ostacolare il programma europeo di reinsediamento dei rifugiati. Provocazione in risposta alla quale, la Polonia, allora governata dai nazional-conservatori del PiS (Diritto e Giustizia), decise di costruire un muro d’acciaio coperto di filo spinato per rallentare il flusso dei migranti.

Green Border | la frammentazione del punto di vista

È proprio nel cuore di questo contesto multifattoriale (umano, territoriale e politico) che il nuovo film della regista polacca Agnieszka Holland ci immerge. Già al timone di diversi episodi della mitica serie The Wire, la regista, che ha già dimostrato di sapersi destreggiare tra i diversi punti di vista, riprende qui quel dispositivo registico. Green Border è infatti diviso in quattro capitoli e altrettante prospettive distinte: prima la storia ci viene raccontata attraverso il punto di vista di una famiglia siriana in fuga, poi attraverso il prisma di una giovane guardia di frontiera, di una ong che aiuta i migranti e, infine, quello di un medico che si unisce agli attivisti.

Rappresentando le posizioni politiche anti-migranti di Polonia e Bielorussia attraverso le loro diverse poste in gioco, il film esamina il destino e la miseria dei richiedenti asilo e le reazioni che questi devono affrontare: il razzismo e la brutalità disumanizzante dei militari. Con una narrazione potente e formidabile, questa frammentazione di punti di vista ci permette di effettuare un’analisi strutturale, più fredda e meno manipolativa di quella che invece potrebbe offrire dramma lineare che ci mette esclusivamente nei panni delle vittime.

Ciò che eleva il film e lo rende più denso e complesso è proprio il modo in cui mette a nudo, sul lato del confine polacco, l’ipocrisia della legge che si scontra con la natura extragiudiziale di una zona di esclusione che impedisce ai gruppi umanitari di intervenire. Green Border cattura in dettaglio come questa condizione finirà per avere ripercussioni non solo sui migranti, ma anche sugli attivisti, sui residenti e sugli agenti di pattuglia di frontiera.

Mappando le reti di potere (e di impotenza) in uno spazio tanto tentacolare quanto pericoloso, in cui diversi gruppi si trovano ad interagire, la narrazione finisce per originare una moltitudine di buchi e punti ciechi, alimentando gradualmente una logica di cancellazione dei personaggi migranti dal racconto.

By Davide Sette

Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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