Si chiama Hail il controverso e violento film dell’Australiano Amiel Courtin-Wilson, è stato presentato a Venezia sabato 3 Settembre nella sezione “Orizzonti” e ha provocato tra i presenti alla proiezione i pareri più contrastanti. Definirlo brutto sarebbe troppo semplice e sicuramente riduttivo, vale la pena di soffermarsi un po’ di più ad analizzarlo.

Un po’ come fecero Zavattini e Maselli nel 1953 nel film collettivo L’Amore in città, dove fecero interpretare Caterina, una donna che aveva abbandonato il proprio bambino, a lei stessa, diventata attrice per mostrare all’Italia le sue ragioni, ora Wilson prende Daniel P. Jones e gli permette di raccontare la sua storia di dolore, sangue e delitti in un lungometraggio che ha il sapore di un documentario.

Daniel, detto Danny, è infatti un ex galeotto che vive da anni con Leanne Letch,  i due condividono ogni cosa, rubano perfino insieme, è quando l’amore della sua vita gli viene portato via che l’uomo non riesce più a controllarsi, e aggredisce chiunque trovi sul cammino che lo condurrà poi dall’assassino.A tratti troppo violento, sicuramente inquietante e affidato ad una recitazione poco consapevole, ma da vedere.

Difficilmente il cinema riesce a “regalarci” qualcosa che sia più onesto, quello di Wilson è un film che non si vergogna di mostrarsi per quello che è, e lascia a bocca aperta, fa nascondere gli occhi, turba, ed è nel momento in cui il sonoro se ne va, nella scena finale sulla spiaggia, che esprime allo spettatore il suo significato più profondo. Esprime l’amore, la tranquillità, quella che forse non ha ancora raggiunto Danny.

Non sono molti i film di Hollywood che riescono ancora a dare tutte queste emozioni diverse, nonostante abbiano i migliori attori e le sceneggiature più originali…evidentemente tutto questo non basta.