Hereditary, il piccolo fenomeno cinematografico che ha terrorizzato gli spettatori del Sundance Festival a inizio anno, vorrebbe appartenere al cinema horror migliore: quello in grado di far paura non tanto per quello che racconta ma per le soluzioni visive che utilizza nel farlo (stacchi di montaggio, movimenti di macchina, inquadrature e composizione dell’immagine). I primi minuti della seconda opera di Ari Aster sembrano proprio voler mettere in chiaro le abilità di questo giovane esordiente e la sua personale idea del genere.
Ma, se fino al momento scioccante da cui prenderà poi il via la vera trama del film (una delle scene più agghiaccianti viste negli ultimi anni, diretta in maniera magistrale da Aster), Hereditary sembra effettivamente avere tutte le carte in regola per affermarsi come uno dei migliori horror degli ultimi anni, la seconda metà della storia si appiattisce sui cliché che dai tempi di Rosemary’s Baby e L’esorcista muovono questo tipo di racconti. Aster, infatti, pur dirigendo alcune sequenze con grande inventiva, non è altrettanto bravo a tradurre quei meccanismi narrativi ormai abusati e ampiamente prevedibili in idee nuove e davvero dirompenti, limitandosi invece a riproporli con una veste estetica senza dubbio accattivante, ma sotto la quale c’è davvero poco in grado di lasciare a bocca aperta.
Hereditary: un horror poco coraggioso
Quello che vorrebbe essere un film ambiguo e misterioso si rivela ben presto un prodotto molto più canonico del previsto, che non destabilizza lo spettatore ma lo guida all’interno della sua narrazione, riconducendo ogni snodo di sceneggiatura a immagini e momenti a lui familiari, che può facilmente comprendere e decodificare.
Hereditary cerca di somigliare a Kill List di Ben Wheatley (quello sì un horror in grado di cambiare le regole del proprio genere di riferimento) che cominciava come un kammerspiel famigliare, proseguiva come un thriller dai risvolti quasi noir e terminava in una maniera cupissima con uno dei finali più disturbanti tra quelli visti di recente. Sono molte le analogie a quella seminale opera del regista inglese (il tema satanico, quello delle sette), ma se Wheatley dimostrava un coraggio incredibile nell’identificare i propri riferimenti per poi tradirli progressivamente, Aster non riesce ad andare oltre i modelli che si impone di seguire.
Hereditary: un cast perfetto
Di tutt’altro livello è invece il lavoro svolto sul cast: dal volto indimenticabile di Milly Shapiro nei panni di Charlie, all’incredibile prova di Toni Collette nel ruolo della madre Annie, ogni attore sembra dare ai propri personaggi sfaccettature difficilmente individuabili seguendo la narrazione. Se, ad esempio, i riferimenti della Collette sono chiari e facilmente intuibili (il Jack Nicholson di Shining ma anche la Kathy Bates di Misery), la sua interpretazione riesce comunque a dare spessore ad un personaggio che invece non è trattato con altrettanta complessità in sceneggiatura.
La seconda prova dietro la macchina da presa del giovane regista statunitense dimostra la grande consapevolezza di un cineasta già a proprio agio con determinate atmosfere, ma fallisce nel tentativo di voler proporre una visione inedita in un genere saturo di piccole e grandi opere tutte uguali fra di loro (pur comunque riuscendo nello scopo non scontato di intrattenere). Dato il grande successo riscosso in America, quasi sicuramente sentiremo parlare nuovamente di Aster in futuro. Questo non può che rincuorarci, nella speranza di trovarci presto davanti ad un film davvero nuovo ed in grado di scrollarsi di dosso l’enorme eredità del passato.
Hereditary: TRAILER