Il matrimonio di Anna (Valeria Bruni Tedeschi) è in piena crisi, così lei parte senza partner ma con la figlia adottiva per la consueta vacanza nella sontuosa villa di famiglia sulla Costa Azzurra. Nel tentativo di distrarsi, ma anche con tanta tristezza e solitudine nel cuore, e la mente proiettata nella speranza che il suo uomo torni da lei, Anna trascorrerà una manciata di giorni in compagnia dei parenti e degli amici di sempre condividendo con loro (oltre agli splendidi paesaggi della maison dans la mer) ricordi, dolori, conflitti, e tutto ciò che dal corso di una vita poi si va raccogliendo lungo le sponde di un luogo sacro, adibito a ritrovo e vacanza.
Alla maniera de Il grande freddo, e sulla falsa riga di tutti quei film in cui il momento di ricongiungimento diventa istante topico di riflessione e scambio, sentimento e conflitto, Valeria Bruni Tedeschi ripercorre una sorta di flusso di coscienza della memoria, facendo scorrere immagini e parole lungo il filo semi-autobiografico di una vita in cui ci sono il calore e i colori di una bellissima villa della costa azzurra, ma anche il grande freddo dei dolori e delle solitudini della vita. Dalla fine di un matrimonio alla sofferenza mai sanata per un fratello perso prematuramente, le follie e i colori di una realtà borghese apparentemente appagata e spensierata sono, in realtà, attraversati da un malessere e da una frustrazione che non conoscono classe, luogo o tempo, e che accorciano la distanza tra ceti, senza però mai dimenticare quelle peculiarità che rendono ogni famiglia “infelice a modo suo” – come sosteneva Tolstoj.
Nella doppia veste di attrice e regista Valeria Bruni Tedeschi realizza un film corale dove partecipano la sua spontaneità oramai assodata assieme ai tanti colori di una vita che sempre si mescola e mimetizza tra rumori e silenzio, commedia e tragedia. “Cos’è la vita senza l’amore…”… cantava Nada in Ma che freddo fa; un ritornello che entra a sancire proprio il lato più nostalgico de I villeggianti (titolo originale Les estivants) e che danza in un andirivieni di amori perduti e forse mai ritrovati che segnano la profonda dimensione emotiva di questo film.
In un caleidoscopio di personaggi ed emozioni, la Bruni Tedeschi realizza dunque un altro lavoro personale e intimista che trae ispirazione dal suo materiale autobiografico ma che se poi si muove sul terreno universale dei classici conflitti tra situazioni, persone, e finestre temporali dell’esistenza umana. Non tutto funziona alla perfezione e, a tratti, i fili narrativi risultano troppo divergenti rispetto alla linea principale, eppure la regista conferma ancora una volta la validità di un suo stile personale e creativo, partecipato e naturale, contaminato in egual misura da tristezza e gioia, euforia e malinconia. In breve, “La pazza gioia” di un’autrice capace di trasformare il suo vissuto in energia pura e libera sullo schermo, con un risultato che moltiplica il suo flusso emotivo nel parallelismo d’identità tra regista, attrice e donna.