Il vizio della speranza, la recensione del film

La maniera migliore per riassumere l’ultimo film di Edoardo De Angelis è citando la frase iniziale: “Anche la speranza è un vizio che nessuno riesce mai a togliersi completamente” dello scrittore italiano di origine ucraine Giorgio Scerbanenco. Il regista napoletano arrivato al successo negli ultimi anni, grazie a pellicole come Mozzarella Stories, Perez e l’acclamato Indivisibili, durante la seconda giornata della tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma ha presentato il film Il vizio della speranza.

Ambientato a Castel Volturno, la totale assenza di civiltà in luoghi che sembrano abbandonati da Dio e la presenza di persone poco raccomandabili, rappresentano il contesto nel quale si svolge la storia di Maria (Pina Turco). Bella ragazza, la classica “scugnizza” napoletana dai lunghi capelli neri, è l’unica persona responsabile di una famiglia disastrata. Maria è costretta a  vivere con la madre Alba (Cristina Donadio) una donna  depressa e totalmente assente con quello che le accade intorno, ed una sorella – parassita Ramona (Mariangela Robustelli), la quale non si preoccupa minimamente di contribuire alle spese, lasciando tutto in mano alla sorella. Maria è rispettata dagli uomini e dalle donne del posto, perché lavora per la matrona del posto, che gestisce un giro di prostituzione, Zì MArì (MarinaConfalone). Il suo ruolo è quello di portare con una barchetta le ragazze rimaste incinte, per risolvere la situazione: abortire o partorire la creatura che hanno in grembo, consapevoli che subito dopo il parto, il proprio bambino verrà venduto ad altre persone.
La vita di Maria improvvisamente subisce uno shock inaspettato, quando scopre di essere incinta. A quel punto, la speranza sarà la sua unica ancora di salvezza.

L’elemento della religiosità è talmente presente, da poter essere considerato come un personaggio. In primo luogo, la scelta di dare dei nomi sinonimo di cristianità e purezza, alle prostitute, come Hope (Speranza), Virgin (Vergine) e Blessing (Benedizione). Il connubio delinquenza e religiosità è presente anche in questo film, evidenziato dalla presenza di un crocifisso in tutti gli ambienti, come le case, un’edicola semi distrutta e la tristemente nota stanzetta degli interventi riparatori. La ciliegina sulla torta è la casa di Zì Marì, nota per essere un’assidua consumatrice dieroina per evadere da una realtà che la sta soffocando. All’interno della sua abitazione non mancano iconografie religiose, compresa una statua enorme della Madonna ben illuminata. Il simbolo per antonomasia della purezza inserita nella casa di colei che sfrutta il corpo di donne disperate, costringendole ad abortire o vendere il proprio figlio.

Un’altra relazione molto interessante è il legame tra uomo ed animale. Il cane di Maria, chiamato Cane, è una cagnolina pitbull, dolcissima, che segue la sua padrona ovunque ed è pronta a difenderla da tutto e da tutti. Un ulteriore accento, merita la correlazione tra Maria e un cavallo nero bellissimo rinchiuso in un recinto che era solito accarezzare quando portava le ragazze ad abortire. Nel momento in cui Maria decide di prendere in mano la propria vita, accettando di correre il rischio di non sopravvivere al parto, a causa di alcune problematiche pregresse, decide di dare una via di fuga anche al cavallo, magari verso un destino migliore.
La speranza di Maria riesce a concretizzarsi quando incontra Carlo Pengue (Massimiliano Rossi), un bravo uomo accusato – ingiustamente – di aver compiuto un atto vile, ai danni di una bambina “speciale” , il giorno della sua prima comunione. A condannarlo fu il fatto di averla salvata con la sua rete da pesca e per questo motivo, in un posto dove regnano l’ignoranza e la necessità di trovare a tutti i costi un colpevole, fu costretto ad un esilio forzato, perdendo l’unica fonte di guadagno: le giostre.

Sebbene la storia sia totalmente al femminile, incentrata su una storia dedicata alla caparbietà, all’amore che solo una donna che sta per diventare mamma può provare, è davvero difficile non trovare delle similitudini con il film  Dogman di Matteo Garrone. Alcuni elementi riscontrabili all’interno de Il vizio della speranza, può essere la scelta di una location molto simile a quella della periferia di Roma, nella quale vive il protagonista Marcello. Un altro punto in comune è il rapporto di simbiosi tra il Canaro (Marcello Fonte) – un uomo insospettabile che si trova a spacciare cocaina – e il proprio cane; ed infine la voglia di riscattarsi e di creare un futuro migliore per amore della figlia. Queste considerazioni, da ritenersi puramente di commento, non vanno ad intaccare il grande e raffinato lavoro di sceneggiatura effettuato da Edoardo De Angelis e da Umberto Contarello.

Come è accaduto negli altri film di De Angelis, la musica continua a ricoprire un ruolo fondamentale, confermato dal sodalizio artistico con il grande Enzo Avitabile. La sua musica, le sue canzoni contengono delle strofe simili a dei versi poetici in lingua napoletana. Nonostante l’uso del dialetto partenopeo, certe frasi riescono ad arrivare al cuore di tutti gli spettatori, sopratutto durante i momenti di silenzio.

In conclusione, tra le tante battute citate dall’attrice Pina Turco, una in particolar può essere di aiuto a tutte quelle donne che vivono realmente, la storia raccontata da De Angelis: “Una mamma non è solo chi fa i bambini. Una mamma è anche quella che li vuole.”