Dopo aver ricevuto il Premio Caligari per il miglior film della sezione Forum alla Berlinale e la Menzione Speciale della Giuria ad Annecy, La Casa Lobo, il lungometraggio in stop-motion surreale ed in continua mutazione dei registi cileni Cristobal León e Joaquín Cociña, si mostra al pubblico di Imaginaria 2018 – Festival internazionale del cinema d’animazione d’autore.
León e Cociña mettono in scena un delirio onirico che è trasfigurazione di un fatto storico, ma La Casa Lobo, come suggerisce il titolo, è innanzitutto un film di luoghi e strutture fisiche. La Colonia di cui si parla nella finta introduzione al lungometraggio è quella fondata nel 1961 da un gruppo di immigrati tedeschi guidati da Paul Schäfer, luogo di sevizie travestito da ospedale ed utilizzato anche durante la dittatura militare di Augusto Pinochet come centro di tortura da parte degli agenti della Dina. È così che proprio sui muri e le stanze di quella “Villa Baviera” che doveva essere la proiezione ingannevole di un luogo di benessere e pace, si proiettano le immagini dei protagonisti, che sembrano essere al sicuro solo quando confinati come disegni sulle pareti ed invece destinati ad un continuo rimodellamento (che passa per la disgregazione dolorosa) quando da “segno” si fanno “materia”.
La lezione dei fratelli Quay
Proprio come il cinema dei fratelli Quay, quello di León e Cociña si basa sulla co-modificazione immaginifica di frammenti ed oggetti che mira ad alterare la comune percezione che si ha della “materia”, sia mettendo in movimento ciò che nella realtà è inerte, sia sviluppando una forma di sinestesia per la quale tratto bidimensionale e texture si mischiano e si confondono. Così la “texture” diviene il materiale utilizzato nella costruzione delle figure su schermo, i cui corpi hanno una composizione diversa da quelli degli esseri umani, ma sono formati dall’unione di piccoli frammenti che sappiamo comunque riconoscere ed identificare perché provenienti da oggetti con i quali comunemente interagiamo nella nostra esperienza quotidiana. I personaggi del film sono quindi sia “alieni” (altro da noi) che familiari (perché riconducibili a cose che già conosciamo).
Così la costante modificazione delle qualità antropomorfiche dei pupazzi, dei loro vestiti e persino delle loro proporzioni corporee, svolge la funzione che nei film “canonici” è affidata alla caratterizzazione descrittiva dei personaggi attraverso la sceneggiatura. I film in stop-motion, coinvolgendo pupazzi che sono il risultato visibile di un processo artigianale, sono per loro natura estremamente “artificiali” e non è quindi un caso se i due registi cileni non si preoccupano di nascondere le loro ombre che si riflettono sul set o di correggere quelle “sporcizie” che svelano il trucco cinematografico.
Modificazioni nel tempo e nello spazio
Nel film, in cui l’esperienza onirica e quella reale coesistono in una linea cronologica che le considera entrambe, le modificazioni temporali corrispondono quasi sempre a delle modificazioni nello spazio. Così la casa nella quale si svolge il film di León e Cociña ha le stesse caratteristiche che Juan Antonio Ramirez individuava nel suo studio sul “set design”: è uno spazio illusorio, frammentario e flessibile, che segue un andamento non ortogonale e si presta a continue “distruzioni”. Ma se le regole di Ramirez valevano per il set di film in live-action, nel cinema d’animazione l’architettura dell’ambientazione può essere esasperata sia attraverso la modificazione plastica dei materiali che la compongono, sia attraverso artifici che coinvolgono punti macchina e lenti. Non a caso la macchina da presa dei due registi cileni si muove nello spazio con una naturalezza che è resa possibile proprio dalla modificazione dello spazio per fini registici (e non solo narrativi).
La Casa Lobo è quindi un film che si fa e si disfà davanti agli occhi di chi guarda, in cui il “gesto” è importante tanto quanto il “segno” che anticipa (persino le finestre della casa, che si disegnano man mano, prendono forma da delle svastiche sul muro). Si tratta di un cinema solo in apparenza frutto di improvvisazione, ma che invece segue un processo di “doppia trasformazione”: prima trasforma un’idea nella sua proiezione fisica nella realtà e successivamente trasforma l’oggetto in un movimento nello spazio che assume significati tanto indecifrabili quanto lo sono le sue traiettorie.