Attesissima da molti come uno degli eventi principali di questa edizione della Festa del Cinema di Roma, la masterclass con Viggo Mortensen ha saputo riempire di concretezza le aspettative dei partecipanti.
Arrivato a Roma per presentare il suo nuovo The Dead Don’t Hurt, il famoso attore americano si è concesso a diversi momenti romani di condivisione col pubblico, tra cui l’attesa masterclass di sabato 19 ottobre alle 16.00. Il tutto parte come di consueto con l’introduzione che lo anticipa e un montaggio video dei suoi momenti più iconici regalati al cinema.
Subito dopo, senza indugiare oltre, eccolo arrivare sul palco col suo classico atteggiamento riservato, tra il diffidente e il discreto. Ed è così che, di risposta alla cascata di applausi che lo accolgono, apre le danze con un timido “grazie”.
Sballottato nell’infanzia, trova forza nella solitudine
Per chi non lo sapesse Viggo Mortensen parla fluentemente sette lingue, infatti durante l’incontro sceglie di parlare inglese solo per essere più veloce, ma al contrario ascolta ogni domanda che gli viene posta in italiano senza alcun ausilio.
“Avevo 3-4 anni quando a Buenos Aires mia mamma mi portava a vedere moltissimi film” dice l’attore partendo col suo racconto d’infanzia. Nasce infatti negli Stati Uniti ma poi si trasferisce da piccolissimo in Argentina, dopo aver trascorso i primi anni della sua vita in giro per il mondo a causa del lavoro paterno. Qui impara lo spagnolo, lingua che gli entrerà dentro a tal punto da averla metabolizzata come un madrelingua e infatti, quando ancora oggi torna in quelle zone c’è chi lo scambia per uno nato e vissuto lì, ma che usa uno slang di sessant’anni fa.
“Ho due fratelli più piccoli ma ho passato molto tempo da solo, mi piace starmene per conto mio. Ancora oggi posso starmene da solo per giorni e sto bene, non è che non mi piacciono le persone eh, ma mi piace anche la solitudine, posso lasciare libera l’immaginazione”.
Accenna così il suo piacere nel trovare momenti di totale isolamento in cui starsene solo con sé stesso. E poi continua: “da piccolo mi piaceva l’hockey, mi affascinava e volevo praticarlo. Quando poi mi sono trasferito me ne stavo lì con i miei fumetti in spagnolo, qualche libro e così ho perso un po’ il contatto”.
Come il cinema è entrato nella vita di Viggo
“Da piccolo chiacchieravo con mia mamma da cinefilo. Dopo le visioni al cinema ci confrontavamo sui film e man mano che crescevo queste conversazioni sono diventate ovviamente più serie. Sono sempre stato appassionato quindi, ma solo a un certo punto ho iniziato a farmi domande sui trucchetti che ci stanno dietro”.
E prosegue: “il cinema è un mezzo collaborativo, ci vuole comunicazione tra tutti. Tutte le esperienze di vita che ho fatto e i lavori come l’operaio al porto, il gelataio, il fiorista o il camionista mi sono serviti per capire i valori della vita. Capire ad esempio la puntualità o cosa significa portare a termine un lavoro”.
In merito invece al suo ruolo da regista ha poi aggiunto che tra le righe non gli piacciono gli attori che sul set pretendono o quelli che si potrebbero riassumere come viziati. “Bisogna avere rispetto per il lavoro, essere anche adattabili. Nei due film che ho fatto da regista ho fatto tante domande nei provini per capire come gli attori si approcciavano al lavoro. Li ho scelti soprattutto per queste motivazioni”.
“L’attore deve essere flessibile, ogni regista è diverso ma anche gli attori sono di diversi tipi. Alcuni attori fanno mettere nel contratto che non puoi guardarli negli occhi, che assurdità. Altri che devi chiamarli come il personaggio per tutto il tempo oppure arrivano sul set senza sapere le battute perché dicono che l’interpretazione sarà più naturale…non esiste”.
L’ossessione di Viggo Mortensen
“Quando mi approccio a un ruolo mi piace fare ricerche se posso. Andare nei luoghi dove il personaggio vive, immergermi in ciò che fa, insomma se posso fare quell’esperienza la faccio. Osservo anche tanto le persone in generale per prepararmi, a mio avviso aggiunge livelli alla sceneggiatura riuscire a ricreare tutto con precisione. Lo spettatore magari non se ne accorge ma per me è importante”.
Inoltre, legandosi a questo, Mortensen racconta di ammirare estremamente i dettagli. Ci dà molto peso, tutto dev’essere coerente per lui: dalle location, agli animali, alla lingua. “Se vedo un film in cui c’è un albero o un animale che so non esistere in quella zona, mi dà fastidio”.
Lavorare sempre con totale dedizione
Spostandosi leggermente di argomento, gli viene chiesto del suo lavoro parallelo, quello di fondatore di una casa editrice e lui risponde così: “quando dirigi un attore puoi cercare di direzionarlo dalla parte giusta e con la pubblicazione di testi è la stessa cosa. Per questo ho fondato la casa editrice, per dare spazio a quei progetti che non trovano spazio di pubblicazione. Correggo le bozze, i refusi, seguo tutto il processo di persona”.
“E lo stesso vale per i film. Sto sempre in sala di montaggio, seguo tutto ma non sono ossessivo, io mi sento bene così. La buona idea può venire da chiunque quindi ascolto tutto e tutti, niente è stupido, l’importante è migliorare il film e il racconto. Cronenberg ad esempio non prova mai, ma puoi chiedergli tutto e lui ascolta. Se poi l’idea gli piace, la fa sua. Mi rendo conto che forse è dura lavorare con me ma se non ti piace puoi andare a lavorare con qualcun altro.”
Viggo Mortensen e la morte
Avviandosi alla fine poi, la conversazione passa a un concetto delicato ma estremamente interessante, la morte. “Se vuoi vivere la vita preparati a morire, diceva Freud. Io ricordo chiaramente quando da bambino iniziai a capire il concetto di morte e chiesi a mia madre ‘tu morirai?’. Questa domanda mi venne guardando i film e lei mi disse ‘sì ma tra tanto tempo’ e io ‘che ne sai potrebbe essere anche domani’. E da qui ho capito che anche io prima o poi sarei morto”.
Questo scambio con la madre lo segnò a tal punto che ancora oggi vive seguendo una precisa linea guida. “Da allora ogni mattina appena mi sveglio penso ‘diamoci da fare, perché non si sa quando finirà’. Ed ecco dove nasce anche la mia motivazione nel fare film”.
Prendendo infine in esame la vita e lo stato di grazia che emana, alla domanda “dove trovi la grazia?” risponde: “nei piccoli atti di gentilezza, quelli inaspettati, nella compassione verso gli altri. Su questa terra ci stiamo per così poco tempo, cerchiamo di trarne il meglio, di stare bene tra noi”.
E continua: “i politici fanno affidamento sul fatto che le persone non ricordano, dimenticano velocemente. Siamo in una società di informazione mordi e fuggi, i social media sono fuori controllo, io non ho tempo per questo. Ho un telefono ma mi dimentico di controllare messaggi o mail. La cosa più triste è vedere le coppie al ristorante con una bella cena davanti, ma entrambi a guardare il proprio cellulare”.
Chiudendo poi con un pensiero perfetto, saluta il pubblico romano così: “il tempo cambia le cose. Anche i film cambiano in base alle esperienze di ognuno. È questo il bello di fare arte, cambia sempre”.