Grazie a James Wan e Leigh Whannell (il team che ha dato al mondo Saw), la saga di Insidious, nata con un piccolo film horror dalla grande inventiva, è riuscita ad imporsi come un franchise milionario. Il quinto capitolo segna un definitivo passaggio di testimone.
Il successo dei primi due capitoli di Insidious lo si deve soprattutto alla grande abilità di James Wan nel riuscire sempre ad inscenare in maniera unica la paura pur partendo da canovacci classici, che hanno spesso il loro fulcro nella comunicazione tra il mondo dei morti e quello dei vivi.
Comunicazione che può avvenire per mezzo di feticci (The Conjuring) o calandosi in prima persona in un Altrove che, pur somigliando non poco al mondo reale, terrorizza per la mancanza di punti di riferimento, che svaniscono dietro ad una impenetrabile cortina di nebbia.
L’idea della saga, originariamente, non era infatti altro che quella di ribaltare il principio alla base di Poltergeist: un film in cui non sono i demoni ad infestare un edificio presentandosi nel mondo reale, ma uno in cui sono gli umani a sconfinare nell’altro mondo e ad affrontare i demoni che lo abitano.
Dopo il secondo episodio, ed il conseguente abbandono del regista che aveva impostato le atmosfere e lo stile visivo della saga, si temeva per Insidious una fine ingloriosa, anche per via della decisione di non proseguire la storia da dove era terminata ma di dedicarsi ad una serie di prequel che approfondissero il passato del personaggio di Elise.
Il terzo capitolo, invece, diretto dallo sceneggiatore e co-creatore della serie, si rivelò meglio delle aspettative, aprendo per Leigh Whannell una brillante carriera dietro la macchina da presa (prima con Upgrade e poi con L’Uomo Invisibile). Ancora una volta, si era ripetuto il miracolo di Saw: un piccolo film era riuscito ad essere la miccia di una saga duratura nel tempo, gestita con la lungimiranza produttiva di chi è in grado di prendere un personaggio dal ruolo inizialmente piccolissimo e renderlo il centro di un nuovo franchise (Tobin Bell in Saw come Lin Shaye in Insidious).
Insidious – La Porta Rossa | un capitolo interlocutorio
Stavolta il filo conduttore di questo quinto film così interlocutorio, che segna il passaggio del franchise da una gestione all’altra, è quello del perdono. Il regista è lo stesso Patrick Wilson, attore storico della saga che ha scelto per il suo debutto alla regia un banco di prova dei più difficili.
Non solo perché l’horror in generale è molto complicato ma perché, a differenza che in una serie tv, in un film non c’è quella ritualità di regia che consente anche a chi ha meno esperienza di prendere la mano e sfangarla ugualmente. Ed è per questo che la regia di Wilson, sicuramente non aiutata dalla sceneggiatura abbastanza piatta di Scott Teems (già scrittore di Halloween Kills), si rivela presto in tutta la sua inadeguatezza.
Non è comunque un caso che sia lo stesso Wilson a raccogliere il testimone dei primi due capitoli diretti da Wan, raccontando una storia formalmente più classica, che ruota tutta attorno all’insicurezza di un padre incapace di ammettere le proprie debolezze e i propri sbagli.
Come attore, offre una prova molto convincente che valorizza e rende sfaccettato il suo personaggio, ma l’assenza di Elise Rainier sembra incolmabile (essendo evidentemente esaurite le acrobazie narrative per rimetterla in scena), e Wilson non riesce a portare sulle proprie spalle tutto il peso del film (anche nella doppia veste di regista).
La Porta Rossa è un’aggiunta non necessaria in un franchise che forse aveva bisogno di una sterzata più coraggiosa. Una cosa è certa: la saga di Insidious non finisce qui.