La trentesima edizione del Bellaria Film Festival, iniziata con la premiazione del Corto Coniglio, consegnato dai conduttori de Il ruggito del coniglio di Radio Due, riserva sorprese ogni giorno. Una presenza particolare è quella dell’attore Toni Servillo, già protagonista del Bellaria Film Festival di dieci anni fa con L’uomo in più di Paolo Sorrentino, che quest’anno riceve il premio Casa Rossa alla carriera. Servillo: “per la presentazione de L’uomo in più io non potetti venire a Bellaria, quindi quest’anno sono doppiamente contento. Per noi era una scommessa, quindi ricordo bene la gioia alla notizia di Paolo, che invece venne a ritirare il premio”.
Che tipo di lavoro è stato il documentario 394 trilogia nel mondo, sulla tournée che ha fatto con la sua compagnia teatrale? E che rapporto ha col mondo del documentario?
Servillo: 394 racconta la tournée di questo allestimento, la trilogia della villeggiatura, che la mia compagnia, Teatri Uniti, ha fatto in coproduzione con Il Piccolo di Milano. Trecento novantaquattro sono le recite che abbiamo fatto in quattro anni di tournée. Questo spettacolo in quattro anni ha toccato due volte Parigi, Berlino, New York, Madrid, Istanbul, Varsavia, Bucarest, Cracovia, Mosca, San Pietroburgo, insomma è stata una lunghissima tournée internazionale. L’idea è stata quella di affidare a un giovane, Massimiliano Pacifico, la possibilità di mettersi su un aereo e venire con noi nei camerini, nei teatri, nelle città a documentare questa avventura. Non è il racconto di un inanellamento di successi, anzi, nel documentario si raccontano anche le amarezze, i trionfi, si racconta la vita del teatro in tutta la sua dimensione di fatica, di gioia ma anche di rinunce, parte di incontri con altre culture. Si capisce che il teatro, a differenza di altri media, và per villaggi, deve bussare alle porte delle persone, entrare in casa per farsi conoscere. È un documento di un’entusiasmante avventura teatrale, in giro per il mondo, come non ne succedono più da un po’ di tempo.
Lei è andato anche al Valle occupato?
Servillo: Sì, ho fatto un passaggio non di vetrina. Credo che alcuni siano passati per farsi un po’ di pubblicità di comodo. Sono andato invece a portare non una serata, ma questo documentario che mi sembrava intimamente al mondo dello spettacolo. Io al Valle ho recitato più o meno regolarmente per venticinque anni, quindi ormai lo considero davvero, come per chi fa questo mestiere, una casa. Quindi la mia, da una parte, era una reale forma di solidarietà con chi ha scongiurato che il teatro diventasse l’ennesimo luogo privato. Dall’altra, il suggerimento che cominci a diventare un luogo dove accadano dei fatti che artisticamente ne qualifichino l’eccellenza, non soltanto un luogo generico. Questo fornisce l’alibi ad alcune amministrazioni pigre di avere un problema in meno.
In Italia ci sono grandi preoccupazioni per l’industria cinematografica. Lei vive questa preoccupazione?
Servillo: É chiaro che condivido questa preoccupazione con tutti quelli che fanno del cinema non una forma di bieco intrattenimento commerciale ma un linguaggio. Il fatto stesso che io sia qui dimostra che, rispetto a quando ho ricevuto il premio Casa Rossa con L’uomo in più, siano accadute delle cose non irrilevanti sul piano internazionale sia a Sorrentino che a me. Stare accanto a un festival di cinema indipendente come Bellaria, che non guarda al puro mercato, ma attento alla possibilità che tra i giovani che presentano un documentario emerga un talento è molto importante. Quando ero ragazzo e si parlava del festival di Bellaria, si parlava di un festival che dava opportunità. L’attenzione al mercato, la riduzione degli spazi non fa altro che trasformare questo lavoro in un luogo dove conta il punteggio, non uno spazio in cui si azzarda. Comunque le istituzioni, come accade nel teatro, è giusto che siano vicine con un atteggiamento di sostegno alla cultura. Il cinema come il parmigiano è quello che fa parlare di noi all’estero, ed è bello che ne faccia parlare in maniera trans anagrafica. È molto bello che due signori di ottant’anni vincano l’orso d’oro a Berlino, e un giovane di quarantaquattro anni vinca per la seconda volta il gran premio della giuria al festival di Cannes.
Non trova il cinema italiano di oggi povero di idee?
Servillo: Lei mi fa questa domanda alla fine di un anno in cui ci sono state almeno quattro, cinque ottime opere prime, una migliore dell’altra, dalla Rorwacher, ai gemelli De Serio. Io ho l’impressione che ci sia una gioventù, anche sul piano degli attori, straordinaria. Giovani attori che a volte non trovano le storie per poter esprimere il loro talento. E sicuramente abbiamo dei registi che cominciano a raccontare la realtà, tornando a guardarla con gli strumenti del cinema, attraverso immagini che turbano, che fanno pensare. Non solo attraverso immagini consolatorie e biecamente rassicuranti. Ci sono altre ragioni per deprimersi per il cinema italiano. Il giovane cinema italiano mi sembra che abbia delle idee rispetto ai giovani inglesi, ai giovani spagnoli. O per l o meno non siamo da meno.
Forse il periodo di crisi economica che stiamo vivendo può stimolare nuove idee?
Servillo: È probabile. I conflitti muovono sempre di più. Questo è un vecchio adagio. Però, non sarei così pessimista sulla capacità di rinnovamento del cinema italiano.
Lei sta per lavorare nuovamente con Sorrentino. Che personaggio sarà il suo?
Servillo: Io ho l’abitudine di non parlare mai dei film se non ne parla prima il regista. Mi sono dato questa regola, quindi ne parlerà lui per primo. Posso dire che è il quarto film che faccio con lui, su sei dei suoi film. Quindi, evidentemente, qualcosa in questa coppia funziona, o per lo meno ci cerchiamo e probabilmente riteniamo l’uno testimone dell’altro una volta che si è scelto un argomento da trattare. Poi si sa quello che si sa dai giornali. Sarà un film che ha al centro Roma, ma preferisco che sia lui il primo a parlarne.
Stupisce la scelta del resto del cast. Carlo Verdone e Sabrina Ferilli. Vorrei sapere se fu galeotto l’incontro al Festival di Roma.
Servillo: L’idea di coinvolgere Carlo è di Paolo. Io sono molto contento perché ho stima nei confronti di Carlo e anche un’amicizia forte. E una simpatia nei confronti della Ferilli che è un’attrice nata nel cinema d’autore italiano. Sono attori romani molto bravi, molto popolari, quindi Paolo per raccontare Roma guarda anche a questi straordinari attori.
Tornando alla tournée teatrale vorrei sapere qual’ è stata la risposta del pubblico internazionale.
Servillo: Il film lo racconta molto bene. Siamo tornati per due stagioni successive a Parigi. Ma abbiamo, per esempio iniziato una tournée in Spagna, dopo i trionfi madrileni siamo andati a Bilbao, Pamplona, e abbiamo trovato un pubblico addormentato che non reagiva, non applaudiva. Il teatro è questo, si va in scena tutte le sere. Tutti i concetti di popolarità, successo, vengono ridimensionati, perché basta una serata in cui lo spettacolo non funziona, tu cadi, se sei un’artista sincero, in una depressione profonda, e in un grande desiderio di riscatto il giorno dopo. Devo dire che è una tournée che ci ha dato grande soddisfazione. A Madrid è venuto a vederci Almodovar, è stata una grande emozione, ci siamo incontrati in camerino, sapeva benissimo del nostro teatro.
La vedremo fra un po’ in un film di Almodovar?
Servillo: Fra un po’ mi vedrete in un film di Ciprì, il primo film che filma da solo senza Maresco. Chiama, È stato il figlio, con cui abbiamo girato la scorsa estate. E poi sono uno degli attori, ma questo si sa, del prossimo film di Bellocchio. È stato molto bello perché io ho finito di girare il film di Ciprì, e sul set di Bellocchio l’ho ritrovato nei panni del direttore della fotografia. E ho visto anche la complicità che c’era tra i due, ed è stato bello essere “schiacciati” tra i due.
È stato girato a Brindisi il film di Ciprì ?
Servillo: È stato girato a Brindisi. Si finge che sia Palermo, ma Daniele voleva fuggire dall’immagine di una Palermo oleografica o già vista. Quindi ha scelto degli angoli che parlano di Palermo, ma io credo che in realtà il film parli di molto altro. Un lavoro entusiasmante perché Daniele è proprio un cinema che cammina. È un uomo a metà strada tra Musco, l’attore dialettale siciliano, e John Ford. È uno che vive di pane e cinema, grande direttore della fotografia e anche lui un’autore che lavora straordinariamente per immagini. Pur essendo riuscito a raccontare in questo film tratto dal romanzo di Alaimo, qualcosa che riguarda profondamente la storia del nostro paese degli ultimi anni. La storia di questa famiglia che per caso si trova la figlia assassinata in un regolamento di conti. Scoprono di poter ricevere un risarcimento dallo Stato, però questi soldi che arrivano in questa famiglia creeranno una turbativa forse peggiore della morte della bambina.
Ciprì sceglie di usare lo stile le forme e i toni dei film girati assieme a Maresco?
Servillo: È un film in cui si riconosce lo stile di Ciprì, ma che sorprenderà per la maturità con cui tiene salde le redini di un racconto che è emozionante fino alla fine, pur rimanendo fedele allo stile a cui ci ha abituati, che a me personalmente piace molto, al mondo nel quale si muove. Però, secondo me, in questo film ha mostrato anche la capacità di saper muovere delle corde anche di commozione molto molto forti.
Del suo personaggio può dirci qualcosa?
Servillo: Bislacco. Bislacco, nel senso cechoviano del termine. Guardi preferisco… Vediamolo. Vediamolo e poi parliamone. Non togliamoci questa gioia della sorpresa.
E cosa può dirci del film di Bellocchio?
Servillo: Il film di Bellocchio invece racconta tre storie parallele che si svolgono duerante l’ultima settimana di vita di Eluana Englaro, che fu una settimana tragica per la famiglia Englaro, e anche molto tormentata per la scena politica e mediatica italiana. Sono tre storie che hanno tre protagonisti differenti. Io e Alba Rohrwacher, in un episodio, in un altro Isabelle Huppert, e nel terso Maya Sansa e Giorgio Bellocchio.
Come avete vissuto le polemiche sul film durante la lavorazione?
Servillo: Non sono mai arrivate sul set, devo dire. Anche Bellocchio su questi argomenti era del parere che conviene mantenere un certo distacco e lasciare che siano le leggi a decidere. Perché altrimenti si comincia a confondere vicende legati ad argomenti importanti come la vita e la morte con le sovvenzioni ai partiti, quindi io mi sottraggo molto volentieri a questo argomento.