Luca Marinelli, dopo il successo della serie tv M – Il figlio del secolo, torna con un film speciale: Paternal Leave, il debutto nel lungometraggio di Alissa Jung, attrice a autrice tedesca, nonché moglie dell’attore italiano, da anni di casa a Berlino.
Il film, appena presentato alla Berlinale 2025 nella sezione Generation, vede protagonisti la giovane Juli Grabenhenrich, anche lei al suo debutto, nel ruolo di Leo, Luca Marinelli in quello del padre Paolo e Arturo Gabbriellini (già visto in We Are Who We Are, la serie di Luca Guadagnino) in quello di un ragazzo del luogo.
Quello di Alissa Jung è un coming of age a due velocità, che mette a confronto una ragazzina di quindici anni, che scopre improvvisamente chi è davvero suo padre e decide di partire per andare a trovarlo, con un uomo che ancora insegue la propria maturità e un proprio equilibrio. Due personaggi apparentemente distanti, che vediamo conoscersi per la prima volta nonostante il legame di sangue, e che finiranno per assomigliarsi, agli occhi dello spettatore, grazie a un intelligente gioco di specchi e di rimandi.
Abbiamo incontrato a Berlino la regista del film, Alissa Jung, e i suoi due protagonisti: Luca Marinelli e Juli Grabenhenrich.
D: Inizierei chiedendo ad Alissa quando nasce questo film e qual è stata la gestazione del progetto…
Jung: Ho scritto la prima sinossi quasi sei anni fa. E poi ho sviluppato la prima stesura della sceneggiatura tra il 2020 e il 2021. Da lì siamo arrivati a sette stesure, quindi direi che è stato un lavoro lungo. Il nucleo fondante del film è sempre stato quello, ma sicuramente col tempo i personaggi sono diventati più precisi, più vivi, più umani, e anche la storia ha preso un’altra sfumatura. Però di base è rimasta sempre la storia di Leo che parte per incontrare Paolo e delle 72 ore di lotta, accettazione e amore che seguono il loro incontro.
D: L’idea di avere Luca Marinelli come attore protagonista c’è sempre stata fin dall’inizio? E quanto di questo progetto poi avete condiviso insieme durante questi anni?
Jung: La prima stesura l’ho scritta senza pensare a Luca. Pensavo solo a scrivere una sceneggiatura. Forse il pensiero inconsciamente già c’era, ma mi sembrava quasi impossibile girare questo film. Mi sembrava una cosa lontanissima. Avevo vinto una borsa di studio per realizzare la sceneggiatura, quindi tutta la mia attenzione era riposta nella scrittura. Mi sembrava già tanto poter lavorare su quella.
Poi ovviamente è arrivato il momento in cui ho pensato: se mai girerò questo film, vorrei che ci fosse Luca. E da lì in poi gli ho fatto leggere ogni stesura. Quindi Luca ha seguito tutto lo sviluppo del progetto. Certo, poi da regista ho scelto anche di non condividere con lui alcune cose, di essere professionale e proteggere il mio attore. Perché non è che ogni dettaglio di regia o di produzione va condiviso con il proprio attore. Una protezione, in questo senso, è necessaria affinché l’attore faccia bene il suo lavoro.
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D: Uno degli elementi principali di questo film è il linguaggio. Sembra che i personaggi vengano definiti innanzitutto dal modo in cui parlano, dalla sicurezza con cui padroneggiano le diverse lingue con cui si devono esprimere: italiano, tedesco e inglese. Come avete lavorato su questo aspetto?
Jung: Fin da subito volevo fare un film europeo, non solo tedesco o solo italiano. Volevo accentuare la mancanza di una lingua comune e la necessità che deriva da questa mancanza, di comunicare principalmente con il corpo, con gli occhi, con gli sguardi, con un abbraccio…
Marinelli: All’inizio abbiamo ricevuto la sceneggiatura in inglese e Alissa ha chiesto a ognuno di tradursela nella propria lingua. Sia io che Juli abbiamo quindi memorizzato il copione in due lingue differenti. Io in italiano, lei in tedesco. Sul set, quindi, quasi non ricordavo più cosa avrei dovuto dire originariamente in inglese, perché nel frattempo avevo memorizzato le battute in italiano.
Quindi questo inglese che è venuto fuori è un inglese istintivo, di necessità. E questo l’ho trovato molto interessante, perché se no sarebbe venuta fuori una cosa strutturata… È invece è stato bello lasciare andare liberi i pensieri che capitavano in quel momento, traducendoli nell’immediatezza.
D: Chiedo a Juli, che si è dimostrata bravissima nella sua prima prova attoriale, come ha lavorato con Luca e come ha sviluppato con lui questo gioco di mimesi tra i due personaggi, che finiscono per assomigliarsi anche per le loro movenze e i loro gesti…
Grabenhenrich: È stato molto utile provare molto. Abbiamo spesso fatto questo gioco dello specchio in cui uno si metteva davanti all’altro e cercava di riprodurre i suoi stessi movimenti. E poi mi è servito molto scherzare, utilizzare l’umorismo, “cazzeggiare” con Luca, prendendosi anche un po’ in giro. Passare molto tempo insieme è stato fondamentale, perché ho potuto copiare alcune delle cose che faceva Luca e questo sicuramente ha aiutato.
Marinelli: All’inizio Alissa aveva chiesto a me di studiare i movimenti di Juli, di osservarla, così da non dover dare a lei il compito di farlo. Invece abbiamo scoperto un talento impressionante. Faceva delle cose da attrice professionista con una naturalezza disarmante. Anche l’intuizione di copiare le mie movenze è stata una cosa istintiva, ma di grandissima profondità e professionalità. Mi sono sentito profondamente stimolato, stando vicino a una persona estremamente intelligente come lei, con un grande talento e con una grande onestà. Sono quelle cose che uno, da attore, ricerca sempre.
Jung: E sottolineo che lei non aveva la minima esperienza di recitazione, neanche in teatro. È arrivata ai provini quasi per caso, per alcune conoscenze in comune con mia figlia, ma mi sono subito accorta della sua voglia di lanciarsi in questa esperienza con tutta se stessa. È quello che un regista chiede sempre ai propri attori: di recitare senza rete di sicurezza e di essere sempre onesta.
Grabenhenrich: Io non riesco proprio a fingere, a mentire… Non so come si fa (ride, ndr).
D: Questa attenzione alle differenti lingue e alle differenti culture emerge anche nella scelta delle canzoni che ascoltiamo nel film. Io sono un grande fan di Kae Tempest, con cui si apre e si chiude il film, perciò volevo chiederti il perché di questa scelta e, più in generale, come hai selezionato le canzoni con cui caratterizzare ciascun personaggio…
Jung: Anche io sono una grande fan di Kae Tempest, grazie a mia figlia che mi ha trasmesso questa passione. Mi hanno colpito subito soprattutto i testi, che sono enormi. Mi sono sembrati perfetti per il personaggio di Leo. Ho dovuto scrivere una vera e propria lettera d’amore per avere i diritti (ride, ndr). A quei brani ho voluto affiancare ovviamente della musica italiana, ad esempio Dalla, con Anna e Marco.
È una canzone che ho scelto sia perché adeguata ai luoghi in cui si svolge il film, ovvero la riviera romagnola, sia per la frase «Con un’aria da commedia americana, sta finendo anche questa settimana…», che era perfetta per il momento del film in cui la si ascolta. E poi si arriva, sui titoli di coda, con Luca che canta una canzone di Giorgio Poi…
D: Ecco, Luca, perché hai scelto la canzone Solo per gioco di Giorgio Poi per raccontare il tuo personaggio?
Marinelli: Perché Giorgio è un grandissimo artista e un grandissimo amico. E poi perché quella canzone è la mia preferita tra le tante bellissime che ha realizzato. Ho cominciato ad ascoltarla molto nel periodo delle riprese del film, probabilmente perché stavo cominciando ad avere molti pensieri sul personaggio di Paolo.
E credo che quel brano sia molto adatto a lui. Ci sono diversi versi che gli si addicono: «Io, un punto a metà tra la stanza e il cielo». Questo fatto di sentirsi sempre un po’ in mezzo ma anche solo, di voler chiedere aiuto ma di non chiederlo mai. «Tu, che mi capisci bene, rimani un po’…», dice la canzone. Dialogavo molto con questo testo, che è come se dicesse ai due protagonisti: se fino a questo momento abbiamo giocato, adesso basta.
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D: I luoghi del film li avevi in mente fin da quando stavi scrivendo la sceneggiatura o sono arrivati dopo?
Jung: In realtà la location di Marina Romea, vicino Ravenna, è arrivata come prima cosa, ancora prima di Luca. Per caso sono finita fuori stagione a Marina Romea e mi sono detta: Paolo vive qui, in questa solitudine. Con le dune che lo proteggono dal mare, che è in qualche modo una metafora della forza con cui Leo arriva nella vita di Paolo, cercando di disintegrare qualsiasi forma di protezione.
Dopo abbiamo visto tantissimi luoghi, sempre lungo la riviera romagnola, che magari potevano anche andare meglio per ragioni di produzione, perché meglio collegati. Ma alla fine ho convinto tutti che era quello il posto giusto, quello che ho sempre avuto in mente mentre scrivevo questa storia.