Di rado capita di vedere, nel panorama del cinema italiano contemporaneo, film che affrontino temi di forte attualità come l’immigrazione e l’integrazione culturale, calandosi nella realtà quotidiana della provincia. Io sono Li di Andrea Segre costituisce una piacevole sorpresa.

Il film racconta la storia di Sung Li (Zhao Tao), giovane immigrata Cinese che lavora in un industria tessile di Roma per ottenere i documenti per far venire il figlio in Italia. All’improvviso viene trasferita a Chioggia per lavorare in un piccolo bar. Qui fa amicizia con pescatori che lo frequentano, in particolare con Bepi (Rade Serbedjia), detto il poeta, anziano pescatore di origini slave. Ma l’amicizia tra i due non viene vista di buon occhio dalla comunità veneta, ne da quella cinese, e viene ostacolata. Il film alla 68esima Mostra Internazionale dell’Arte Cinematografica di Venezia nelle Giornate degli Autori, è forse l’esordio più interessante visto fino ad ora al Festival. La realtà provinciale che rappresenta è quella di una piccola isola della laguna veneta, quanto mai chiusa e fuori dal tempo. Una realtà che Segre ha già in passato dimostrato di conoscere profondamente. Le dinamiche che governano questo piccolo universo, chiuso all’interno dell’isola e ancora tra le pareti di un bar, sono semplici, di gente modesta, gentili e disponibili con chi è nuovo diverso. Ma per essere accettati ci vuole tempo, bisogna diventare “del posto”. Bepi fa parte della comunità ormai, ma sono trent’anni che vive tra loro.

È nato in Yugoslavia, ma ormai è veneto per i suoi compagni di bevute. Sung Li è nuova, e le differenze culturali sono più profonde, ma la piccola comunità di pescatori del bar la accoglie, ma per accettarla ci vuole tempo. Per Bepi ovviamente è differente, lui è veneto ormai, ma è anche straniero. L’affinità tra i due esuli è immediata. Ma per una comunità sospesa nel tempo, i tempi d’integrazione (di assorbimento) di chi appartiene a una cultura diversa sono inevitabilmente lenti. Questa sospensione, questa lentezza, il regista riesce a raccontarla da dentro, nei particolari della quotidianità di un bar come tanti, attraverso un gruppo di attori (Roberto Citran, Rade Serbedzjia, Marco Paolini, e Giuseppe Battison, e Zhao Tao) perfettamente calati in questa dimensione.